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venerdì 25 maggio 2007

Storie di scappa e pappa

Se son rossi fioriranno (in giallo)!

ILLATINI, DICA?”
“Pronto buonasera, sono il sig. Accomodare Perni, chiamo da Napoli, volevo sapere…”
“DICA PURE, DICA?”
“Cioè, emmh, prenotare per domani…”
“7, 30 o 9,30”
“Preferirei la sera, se possibile…”
“19,30 o 21,30?”
“Eh, dunque il treno…, facciamo alle 21,30 per due.”
“SIGNOR?”
“Perni, Accomodare Perni”
“A DOMANI SIG. PERNI”
TLLAC.
Rinfrancato dalla sintetica telefonata (nordica efficienza) confermo a Ciccina la prenotazione e passo a preparare il sintetico bagaglio.
Già, si riparte per l’ennesima volta ma questa volta la colpa (pardon, il merito) è tutto di Ciccina.
Fungo da cavalier servente o cicisbeo che dir si voglia per accompagnarla in quel di Firenze per un affaraccio suo.
Qualche consolazione ce l’ho: una mattina libera per gironzolare nella bellissima città e la cena da IL LATINI, la trattoria che compare (addirittura) sulla copertina del “Gambero rozzo” di Cambi.
La sera dopo ci rivediamo direttamente alla Fiaschetteria (così nacque e così si definiscono) in via dei Palchetti 6 r (tel. 055/210916).
C’è già una folla scalpitante composta di molti turisti stranieri, abbastanza italiani e qualche giovane fiorentino in cerca di forti emozioni. E noi.
In prima fila a cingere l’assedio credo ci sia la squadra di rugby dell’Irlanda.


Fiaschetteria Latini durante l’intervallo della partita
Forte della prenotazione, sorrido rassicurante a Ciccina (che mi sembra pallida e spaventata) e lancio qualche commento sulla stupidità di chi non prenota nei locali famosi. Insomma maramaldeggio un po’. Mi faccio strada a gomitate, pervengo in qualche modo all’ingresso e mi trovo di fronte Hugh Grant in minimis.
Comanda lui l’accesso.
“Perni, Accomodare Perni!” grido dietro le tremende spalle della seconda linea (lock) d’attacco della nazionale irlandese.
Mi alzo in punta di piedi, Hugh evade il mio fiammeggiante sguardo. Rigrido.
Sguarda appena la lista: “Non risulta.”
“Ma come non risulta?! Guardi bene, Perni, Accomodare Perni, ore 21,30!”
Ciccina, saltella imbarazzata, con un saltello scorge il Grant’uomo, sgomita e passa avanti.
Chiaramente gioca sull’occhio ceruleo e quella dolce abbronzatura che le dona la vita sportiva.
A bassa voce ripete: “Perni, Accomodare Perni”.
Le parole pacate e stentoree fanno vibrare i prosciutti appesi all’interno.
Risguarda la lista: “Non risulta.”
Resiste anche a Ciccina abbronzata, sarà mica gay?
Finto a destra e sfondo la seconda linea sulla sinistra, guadagno la meta.
Siamo di fronte, io e lui.
La musica si alza tesa e ricorda il miglior Morricone.
Ci guardiamo.. Un tic gli guizza sul bel volto tra sopracciglio e zigomo destro.
Ha riconosciuto il mio dialetto. Per lui potrei essere Sandokan (quello di San Cipriano).
Stempero.
“Può ricontrOllare, per favore?” e sulla O di rincontrOllare faccio casualmente la boccuccia a rosellina.
Ricontrolla: “Niente, mi spiace”.
Guarda lungo, chiama otto persone a caso (mi sembra).
Genere Ameba?
Comincio a sobillare le masse con la tecnica di Masaniello, commento, mugugno, bofonchio, spargo dubbi sulla regolarità degli ingressi ed in cinque minuti netti siamo ammessi in sala.
Ci sistemano con altre persone, due ragazze americane simpatiche e ridanciane ed una coppia siciliana.
Siamo fortunati, i siciliani sono di buona compagnia, lei somiglia ad una Nancy Brilli del palazzo accanto e lui si pone fisicamente tra Pippo Baudo e Franco Battiato, persone colte e gradevoli, ceppo normanno, appassionati di cucina ma (fortunatamente per noi, e dopo capirete perchè) a dieta.
Inoltre conoscono il (sor) Latini e non è da poco (doppia fortuna, e dopo capirete il perchè)!
Quando arriva il cameriere stiamo già sorridendo tutti insieme e le vicissitudini esterne giacciono dimenticate.
Le ragazze ordinano vino bianco e ravioli + insalatina, sorridiamo comprensivi e un po’ saccenti, ci guardiamo in quattro (anzi in otto occhi) e ordiniamo all'unisono antipasto di salumi, ribollita, zuppa di farro e bisteccona, Chianti della casa e: “Poi vediamo per il dolce, grazie.” Ridiamo compiaciuti.
Passa a salutarCI il (sor) Latini in persona e ci accomuna idealmente ai suoi amici siculi.
Cambio di passo, arrivano i ballon tipo Bordeaux, cambia il vino (che già era buono), arriva subito anche il mega vassoio di affettati con un prosciutto sublime e un’ancora più sublime finocchiona delle dimensioni della classica mortadella. Uno spettacolo.
Qui nasce il problema: Ciccina non ama i salumi (donna da formaggi) e gli amici siculi sono a dieta ferrea (storie di colesterolo, annuisco a bocca piena, molto comprensivo). Non è certo il posto in cui andare per il sottile.
Insomma faccio quel che posso e mantengo alto l’onore degli astanti.
Il vassoio viene ritirato vuoto.
A seguire ribollita e zuppa di farro in zuppiere esagerate.
Loro saggiano languidi e insistono per farcele svuotare mentre raccontano della loro bella regione.
Ciccina contribuisce al racconto per le sue ascendenze catanesi, io sorbisco a cucchiaiate asciugandomi educatamente col tovagliolo un filino colante. La ribollita è da sballo, impensabile replicarla.
Mi sento costretto a raddrizzarmi sullo schienale della sedia e guardarmi un po’ intorno per sgranchire il collo.
Tutto procede bene, passa Hugh Grant, gli sorrido affettuoso.
Arrivano le bistecche, impallidisco.
Qui Ciccina mi da una mano valida. Ci sono persone che è meglio comprarle un vestito che portarle a cena.
I Trinacri sbocconcellano vaghi e lasciano anche la bistecca. La guardo in silenzio, con una punta di tristezza.
Domani piangerò, lo sento.
Rifiutiamo il dolce con decisione, come un unico sodalizio.
Ripassa Hugh e gli chiedo un Glen pensando a una parentela. Non capisce e mi porta una grappa sicula (forse in onore dei nostri nuovi amici).
Paghiamo il conto: 35 euri pro capite e caracolliamo soddisfatti verso la porta, non senza ammiccare al portiere/cerbero.
Cerco un biglietto da visita da scambiare con i siculi ma, mentre prendo il portafogli ricordo di non averli mai avuti. Lo ripongo mesto e mi riprometto, per l’ennesima volta, di farli stampare al più presto.
Concludendo: l’impressione di una catena di montaggio per l’ingrasso di oche (turistiche) da foie gras rimane ma sulla alta qualità e bontà dei cibi non ci sono dubbi. Ed il conto, con i tempi che corrono, è da bettola.
Sorprendente.

Ad ogni buon conto, e sicuro che voi siate più bravi di me, vi posto anche la ricettuzza della Ribollita secondo Il (sor) Latini. Io, dopo aver gustato la sua meraviglia, non ci provo nemmeno a farla e resto convinto che, in questa ricetta, manchi il segreto:
Ribollita (secondo il Latini)
Ingredienti: Cavolo nero, Cavolo verza, Bietola, Porri, Carote, Cipolle rosse, Pomodori maturi, Sedano, Fagioli cannellini, Prezzemolo, Basilico, Pane parzialmente integrale cotto a legna, Olio di oliva e.v.o. (di quello bono) Sale e pepe.
Preparazione: Soffritto di cipolla e olio di oliva. Aggiungere pomodori possibilmente passati. Dopo aggiungere le verdure, precedentemente tagliate a dadini. Aggiungere i fagioli con la propria acqua. Quando il minestrone così preparato è pronto, coprire con strati di pane tagliato, aggiungere olio di oliva e far bollire.

Ma, per non lasciarvi a bocca asciutta, apparecchiate pure la tavola che vi posto la mia ricettuzza della altrettanto mitica:

Pappa col pomodoro



Ingredienti : Per 4 flaccide persone
800 g. di pomodori San Marzano maturi
350 g. di pane integrale raffermo
2 spicchi d’aglio
Peperoncino
2 cm di zenzero, sbucciato e tritato
Basilico, prezzemolo e mentuccia fresca
1 litro di brodo vegetale (usano anche quello di carne ma forse…)
Olio extra vergine di oliva (di quello bono), 3 cucchiai



Preparazione :
Versate l’olio in un tegame e fate rosolare un battutino di zenzero fresco tritato, aglio, peperoncino, prezzemolo, menta e basilico. Aggiungete i pomodori precedentemente scottati e pelati, fate cuocere fino a raggiungere il bollore, aggiungere il pane tagliato a fettine sottili, mescolare bene e quando il pane avrà assorbito la salsa di pomodoro aggiungere il brodo bollente regolando il sale. Far bollire per circa 15 minuti aggiungendo altro brodo se occorre. Lasciare riposare per circa un’ora, quindi mescolare bene per disfare completamente il pane.
Servire calda ma non bollente con un filo d’olio a crudo ed un ciuffetto di basilico.



Se la servite fredda, in bicchiere alto, come un gazpacho andrebbe meglio la cipolla al posto dell’aglio e l’aggiunta di aceto (o limone) per esaltare la piacevole acidità del pomodoro (e magari un cucchiaino di wodka?) decorato con un gambo di sedano bianco fresco.
Buon appetito anche da Gianburrasca!

giovedì 3 maggio 2007

Le conseguenze dell’amore che, in altri termini, suona come: Fritto misto all’ascolana


C’era una volta una casa, di famiglia, chiusa da tanti anni che bisognava andare a visitare, a riaprire per risolvere tanti piccoli problemi che negli anni si erano cumulati.
Quale occasione migliore di un lungo ponte?
Quale?
E via, siamo partiti Ciccina, io e il desso, con la nostra mitica Saxò (1.100 cavalli di razza) alla volta di terre lontane.



Dove siamo stati?

i giocattoli di Ciccina (non amava le bambole, strana, eh?)


Attraversato l’Appennino, annusato l’aria di Vasto (magari FdZ stava cucinando i suoi nuovi piatti a base di pescato locale e ci invitava a pranzo? Niente) e infine giunti a dimora dopo, più o meno, 4 orette.
Premetto (voi lo saprete) che la pigrizia è il mio forte ma lo spettacolo (con rispetto parlando) era devastante.
Non so se avete mai riaperto una casa abbandonata?!
Naturalmente riscaldamento, acqua calda e gas per cucinare manco a parlarne. L’umidità maligna vi penetra nelle ossa e lo strato di polvere sui cui camminate vi arriva (giuro non esagero) alle caviglie.
Insetti morti e ragnatele vi accolgono spettrali, lenzuola e asciugamani puzzano di muffa.
Insomma ho sofferto un mancamento.
Ciccina, visto il mio scoramento, pratica e bella com’è, si è subito messa al lavoro, assicurando la sopravvivenza per la notte e spolvera, sbatti, scuoti, prendi in valigia, recupera metri quadri, butta DDT, ricava un quadrilatero di 12 mq adatto alla bisogna.
Diciamo un po’ come la storia di Davy Crockett a Fort Alamo assediato dai Messicani.
Insomma ci siamo messi di buzzo buono (si dice cosi?) al lavoro, ognuno per la propria specialità e in 48 ore la casa era abitabile (o quasi).
Ciccillo ha collaborato molto alle pulizie.


Io finalmente ho letto il libretto di istruzione della macchina fotografica (non proprio tutto) e ho fatto un po’ di esperienza.



Ma sono diventato anche un grande esperto in BBQ.


E appena ho potuto guardarmi intorno, con meraviglia ho appreso la bellezza dei luoghi. C’è pure il mare (in foto a sinistra una linguetta).



Ma non basta! Ci siamo concessi anche svago ed esplorazione.

In un blitz siamo andati ad Ascoli Piceno, una deliziosa cittadina marchigiana, alla III edizione del “Fritto misto all’italiana”. Una cittadina deliziosa ma ammantata di odore di … fritto (e cos’altro?).
Insomma una Festa dell’Unità (non so se avete presente) della zeppola e varie.
C’erano stand dell’Abruzzo (formaggio fritto), Alto Adige (krapfen ecc.), Campania (panzarotti e zeppoline), Emilia Romagna (torta fritta ecc.), Marche (da padrona, fritto all’ascolana e fritto di paranza), Piemonte (misto piemontese), Sicilia (arancine, panelle, siciliane, cuddridedda, cannoli [finiti]), Toscana (misto toscano) e “world food” India (samosa, mix pakora, gulab), Marocco (brewas dolci e salati, scebbakie), Perù (chicarron, pollo broaster ecc.), Portogallo (pasteis de bacalhau [mannaggia erano finite!], pataniscas, ecc.), Repubblica Slovacca (encian, palacinky).
Direi che lo stand siciliano era il più gettonato.
Grandi assenze il tempura giapponese (c’era una conferenza esplicativa [ma come si dice? Te la fai fritta?]), il carciofo fritto del ghetto romano (opinione personale) ed i felafel (o falafel).
C’era una … Vinea con alcuni vini regionali Piceno (rosso, notevole), toscani (buono come sempre il Chianti mentre il Sangiovese in purezza convinceva di meno [de gustibus…]), mancavano i vini chiari dell’Alto Adige che forse sui fritti si sarebbero sposati meglio, peccato.
Ma il peccato più grande era bere in bicchieri di carta.
Lancio una crociata contro il bicchiere di carta, chi mi segue?
(Una volta sono stato a Francoforte ad una fiera dei vini del Reno [veramente deliziosi], dove per bere le Aziende ti davano un bicchierino di vetro con il loro logo e tu lasciavi un deposito.
Se lo riportavi riavevi i soldi altrimenti conservavi il bicchiere ricordo.
Siamo ripartiti con 18 bicchierini. Questa è civiltà!)
Insomma lasciati gli stand abbiamo necessitato di riposo e accoglienza in un bel bar di piazza del Popolo (bellissima!) per bere una grande birra alla spina (per la cronaca una San Miguel).
La notte un bruciore di stomaco che non sto a raccontarvi.
Basta, non ho l’età per le feste dell’Unità e non ho nemmeno più lo stomaco (o il fegato?).
E dire che avevo 2-3 indirizzi di trattorie del “Gambero rozzo”!

Naturalmente il primo maggio non siamo riusciti a fare la spesa e quindi, tornati a casa, abbiamo avuto modo di iniziare una nuova sezione di questo blog: Le conseguenze dell’amore.
Cioè?
Piatti che derivano da altri piatti, insomma rimasugli, l’arte del riciclo o dello “svuota-frigo”.
Il piatto di stasera è una conseguenza (fantastica, quasi meglio dell’originale) dei famosi Spaghetti aglio e olio. Appartiene di diritto ai Falsi d’autore perché è della serie: si può fare una frittata senza rompere le uova?
A Napoli si può.

La frittata di Scammeri

Scammeri, chi era costui o costei? O cos’era?

a) Scammeri è una industriosa frazione di Ariano Irpino (AV) dove ci fu una moria delle ovaiole che costrinse la gente, in un lungo inverno, a sviluppare una cucina alternativa;
b) Aureliana Scammeri era una antipatica dirimpettaia di mia madre che, rimasta senza uova e non volendo chiederne in prestito, inventò per dispetto la mitica frittata (poi copiata suo malgrado da mia madre);
c) di Skammeri era la mia tata albanese, talmente povera che conosceva solo le capre che, come si sa, non fanno le uova;
d) Ska era il cuoco di bordo di una nave vichinga che, accortosi di aver dimenticato di comprare le uova prima di imbarcarsi, piuttosto che farsi decapitare, ingegnò questo piatto portentoso ma purtroppo gli venne bruciacchiato, allora il prode capitano Eron Kiapp lo fece buttare a mare (insieme alla frittata), rimase nella mitologia norrena in quanto la vedetta dell’albero maestro, vedendolo a bagno gridò: Ska a mer!;
e) Miss Mary Skam era una simpatica e cicciotella dietista del St. Mary Hospital di Oxford impegnata a diffondere i benefici connessi alla dieta mediterranea e amante dei (paesi) latini. Provò grande sconcerto quando, proprio lei, risultò ipercolesterolemica ad un normale controllo del sangue ed allora di necessità fece virtù ottenendo così il suo breve momento di notorietà (presso alcune famiglie napoletane);
f) Altro, specificare.


Ingredienti (per 2 piatti di spaghetti aglio-olio stasera e 4 porzioni di frittata domani)
Vermicelli 500 gr.
Olive nere di Gaeta 200 gr.
Capperi 70-100 gr.
Alici salate 4-5
Peperoncino qb. (ci vuole)
Aglio 2-3 spicchi
Olio evo saporito 6 cucchiai
Prezzemolo
Sale (pochissimo!)



Procediamo ché mi sta venendo fame.
Degli spaghetti aglio e olio esistono infinite varianti, tutte buone, con le noci, con il pan grattato (quello fatto in casa), con i carciofi, con i frutti di mare (of course), con i pomodorini ecc. ecc.!
Insomma almeno un terzo della cucina napoletana parte da questa base.
La ricetta di stasera sta alla Puttanesca come la gricia sta all’amatriciana.
Sciacquate e snocciolate le olive, dissalate i capperi e tritateli insieme a poco prezzemolo.
Mettete 4 cucchiai d’olio in una padella sufficiente a ricevere gli spaghetti al momento giusto.
Soffriggete aglio, alici e peperoncino, quando dorati toglieteli (le alici devono scomparire) e aggiungete il trito.
Portate a cottura in pochi minuti girando con una spatola e mettete da parte qualche cucchiaiata di condimento.
In abbondante acqua (POCO) salata cuocete i vermicelli al dente (io li ho cotti per 9-10’ invece dei 14 riportati sulla confezione, tanto per capirci), scolateli e saltateli brevemente in padella aggiungendo il resto del prezzemolo.
Servitevi, condite con due cucchiai di condimento che avrete messo da parte e mangiate con calma perché l’ansia a tavola fa male.
Conservate in frigo il resto della pasta.



L’indomani: ungete la già nota padella mitilus con i rimanenti due cucchiai di olio, ammassate bene la pasta avanzata, chiudete, sistemate un accrocco a pendenza e cuocete a fuoco dolce, facendo ruotare la padella obliqua sull’accrocco.
Dopo circa 15’ girate e ripetete la rotazione per altri 10. Deve risultare croccante fuori e morbida dentro.
Prima di affettarla aspettate che si raffreddi un po’.
Guten appetit!

martedì 24 aprile 2007

Cosa farò da grande ovvero meglio perdersi che … trovarsi



Sono ancora indeciso su cosa fare da grande. Voi ci avete già pensato?
Niente, mi vengono sempre le solite cose tipo pompiere, pilota di formula 1, cantante rock, cuoco (di successo), George Clooney, commissario Maigret, Nero Wolf.
Niente di originale, peccato. Eppure qualcosa di buono ogni tanto la combino, anzi, la combiniamo perché in questo Ciccina non è seconda a nessuno: noi sappiamo fare i blitz.
Abbiamo fatto blitz notevoli tipo toccata a Roma per provare lo sformato di cipolle del Dito e la Luna e ritorno o a Parigi per comprare les Moutardes de Maille, place de la Madeleine (potenza di lastminute).


Quest’inverno, nel più classico dei nostri blitz, siamo andati a Scansano (GR) per spratichirci un po’ con il famoso Morellino (che non è un cavallo come voi ben sapete), compiuto l’apprendistato presso “La Cantina” (Via della Botte) accompagnato da una cena che definire pantagruelica vuol dire minimizzare, e dormitoci su alquanto persuasi delle sue preclare virtù, la mattina dopo abbiamo deciso di perderci nelle campagne per ritardare, per quanto possibile, il rientro a casa ed evitare, sempre per quanto possibile, la concomitanza con i gitanti domenicali.
Non so se vi siete mai persi volontariamente nelle fratte (?) in territorio sconosciuto.
Per tranquillizzarvi vi assicuro che è più facile di quel che si creda.
Nella nostra mappa mentale avevamo un'unica certezza: il lago di Bolsena era a sud-est ed Orvieto (Autostrada A1) decisamente ad est.
Veramente avevamo anche una determinazione ferrea: scegliere le stradine di campagna.
Il portabagagli pieno di ottimo vino ci garantiva la sopravvivenza.
Sia come non sia dopo circa 5 ore e solo 80 km percorsi, in strade rurali tra campi, selve e boschi, ci siamo ritrovati con un certo languorino che ci faceva spalancare gli occhi alla ricerca dell’impossibile: Qualcosa (o qualcuno) da mangiare! Gli animi cominciano a farsi tesi, compaiono frasi del tipo, l’avevo detto io… l’armonia della sera precedente era solo un pallido ricordo dei bei tempi che furono. Cosa può la fame.
Erano le due del pomeriggio, nelle frazioni attraversate gli alimentari erano sbarrati e di ristoranti neanche l’ombra. Veniamo meno al giuramento di non guardare la carta stradale e scopriamo che, 10 km più o meno, siamo dove Lazio, Toscana e Umbria si baciano indisturbate. È probabilmente una delle zone più belle d’Italia, se amate il bucolico/agreste, ma al momento ciò non ci consola.
Stavamo discutendo se Ciccillo avrebbe preferito stare con Ciccina o me quand’ecco, ad un tratto (si, proprio come nelle favole) compare un cartello che ci informa che il Poderetto è aperto! Il Poderetto? I nostri occhi si interrogano commossi e lacrimosi, ammiccano e via, con un sorrisino stupido metto la freccia a sinistra (inutile, eravamo soli nel deserto) e vai!



Ci accoglie una casupola in pietra con il classico filo di fumo che sale dal tetto ed uno spelacchiato albero di Natale.



Ci asciughiamo il moccio al naso ed entriamo timidi, quattro tavoli apparecchiati, un camino acceso e Totò (un bassotto tedesco, ma che si chiamava così l’avremmo saputo dopo) praticamente sdraiato dentro al camino.


Lui solleva una palpebra, fa WHUFF (l’avevo detto che è tedesco?) più o meno come se avessimo suonato il campanello all’ingresso, richiude l’occhio e riprende a dormire. Dalla cucina esce Mariagina (splendida figura di donna umbra, ma che si chiamava così l’avremmo saputo dopo) che si asciuga le mani e ci guarda interrogativa come dire: e voi che ci fate qui?


Noi: è tardi per mangiare?
Lei: e allora io che ci sto a fare?
La logica stringente della campagna.
Ci sediamo e, miti e arrendevoli come solo l’inedia che ha superato già da un pezzo la rabbia può rendere, ci affidiamo alle sue cure.
E non ce ne siamo pentiti.
Bartolomeo (il so omo, per dirla in umbro- tosco - laziale) ci accudisce e, tra un affettato misto, tagliatelle ai funghi (giura che sono di bosco), carni sapide alla brace e bolliti, ci racconta un terzo (circa) della loro vita.
Apprendiamo di migrazioni in quel di Torino, di lavori tentati e infine di questa avventura dovuta alla Mariagina perché l’è brava in cocina.
Noi parliamo poco (voi capirete perché).
Mentre sonnecchiamo (io) e giochiamo con Totò (Ciccina), in attesa di caffè e ammazzacaffè, si apre la porta ed entra rumoroso e vociante un arzillo vecchietto che, poverino, alla vista di sconosciuti azzittisce. Mariagina esce dalla cucina e lo rimbrotta come un bambino.
Bartolomeo entra con un quarto di vino (rosso) e lo serve. Non c’è bisogno di ordinare.
In poco meno di mezzora ne arrivano altri quattro (altri tre quartini e una birra), compaiono le carte napoletane. Cominciano a giocare e cominciano, in nostro onore, i racconti della campagna, che se Pasolini (buonanima) fosse ancora vivo, ci farebbe senz’altro qualcosa di grande. Sarebbe bastato trascriverli come venivano fuori.
Si parla di colture e concimi, di serpi e cinghiali, di fonti prosciugate e pozzi secchi, di espropri e strade inutili, di sovvenzioni pubbliche assegnate senza senno. Si ride ancora (loro), a distanza di dieci anni, di quel tizio che voleva coltivare il kiwi (?).
Noi continuiamo a parlare poco (voi continuerete a capire perché) ma ascoltiamo molto.
Bartolomeo e Mariagina si portano due scodelle di zuppa (mmmh, curiosità! non oso chiedere) e siedono accanto a noi.
In un baleno si fa sera (dopotutto è inverno, no?) e a malincuore ci alziamo (paghiamo cosi poco che converrebbe venire a mangiare qui ogni giorno piuttosto che fare la spesa) e salutiamo gli amici (perché si, ora sono nostri amici).
Fuori è calata la nebbia, l’aria è serena, fredda, sa di fumo, ci promette di restare così bella per qualche anno ancora.
Le crediamo, oggi crediamo a tutto.



Ebbene quel posto non è un sogno.
Ieri (domenica) tornando da un tour (quasi tutto lavorativo) in Romagna e Toscana (a proposito se vi capita, fate la statale SS 67 tosco-romagnola casentinese, è bellissima) ci siamo ritrovati in prossimità di Orvieto ad ora di pranzo (non è un caso, avevo calcolato tutto al millesimo).
La nostra intesa è perfetta, basta uno sguardo (ah, l’amore!), esco e prendo la direzione Viterbo Montefiascone (SS 71) e ci … perdiamo. Di nuovo.
Questa volta non lo facciamo apposta.
Giriamo per strade e stradine, niente. Consultiamo la carta stradale, niente. Semplicemente avevamo dimenticato il nome dell’osteria e di chiedere in quale paese fosse! Poi Ciccina (la mitica) ha il più classico dei lampi di genio, apre il portatile e guarda le foto del week end invernale e… paff! ecco la foto del Poderetto. Alla prima frazione chiediamo ad un autoctono deambulante (lo conosce!!!!! Buon segno, no?) ed in cinque minuti, con la lingua da fuori, siamo a casa (loro).

Il set è cambiato (fa caldo ora): esterno giorno, aiuole, tettoia malmessa e panche, Mariagina, Bartolomeo e uno dei vecchietti giocano a carte, Totò ha una piccola compagna Kya (ma che si chiama così l’abbiamo saputo dopo), un tavolo apparecchiato (giuro che aspettava noi) e almeno 4 panche ancora imballate, presagio di futuri clienti.
Lo svolgimento è simile, con piccole variazioni nelle scelte (crostini e bruschette, tagliatelle con fagiolini e pomodorini, trippa con la mentuccia, pollo alla cacciatora, torta di pere e cioccolato per un totale di 40 euro).
E anche ieri, mentre aspettiamo caffè e ammazzacaffè, cominciano ad arrivare gli altri vecchietti, cominciano le chiacchiere, giocano a carte.

Se vi piace la campagna, se non dovete mangiare sempre cibi firmati, se vi piace fare due chiacchiere o (meglio) se vi piace ascoltare le storie degli altri, appena potete, fateci un salto.
Io, nel frattempo, schiaccio un pisolino fino al prossimo Autogrill, guida Ciccina Alcohol_free mentre io sogno cosa farò da grande.

Osteria con cucina “Il Poderetto”, loc. Poderetto, Castel Giorgio (TR).
Uscita A1 Orvieto, prendere la SS 71, direzione Montefiascone Viterbo.
Dopo circa 12 km girare a dx per la SS 74, direzione San Lorenzo nuovo.
Dopo circa 6,5 km entrare in Castel Giorgio e chiedere per via del Poderetto e dopo meno di 3 km troverete a destra la trattoria. Se vi perdete chiamate Bartolomeo al 3291373427.
Pare che se avete il Nav satellitare sia più facile. Dubito.