martedì 29 maggio 2007

Richiedi la tua EnoCard compilando l’apposito form

Maggio dei Monumenti a Napoli 2007

“Come ogni anno, anche questa primavera vedrà protagonista Napoli città d’arte nei week-end che vanno dal 27 aprile al 27 maggio 2007, la città partenopea sarà teatro di manifestazioni culturali e di eventi ad alto contenuto artistico. Monumenti e collezioni private, che normalmente restano chiusi durante l’anno, saranno accessibili e visitabili, in taluni casi anche gratuitamente.
Passeggiate tematiche nel centro storico ed itinerari selezionati integreranno il già vasto calendario di appuntamenti.”

La XIII edizione del Maggio dei Monumenti ha per tema conduttore: I Misteri di Napoli, Esoterismo, leggende, superstizioni, riti scaramantici, culto dei morti!

Caspiterina!

Inoltre richiedendo la Enocard tramite Internet potrai partecipare in prima persona al grande evento multimediale che si terrà a Napoli, presso la Grotta di Seiano dal 26 maggio al 3 giugno 2007. La Grotta di Seiano, luogo simbolo di una Napoli antica e moderna è, nell'immaginario collettivo, luogo che rappresenta un insieme di bellezza e paura, buio e luce…palestra del sommo poeta dell'antichità Publio Marone Virgilio.
La card, oltre a rappresentare il gadget dell’evento dà diritto all’ingresso gratuito alla Mostra/Installazione e offre ai possessori il concerto di Peter Schwalm, sabato 26 maggio, presso l´Odeon del sito archeologico fino ad esaurimento posti.

Per prenotare la Enocard, basta iscriversi compilando l’apposito form presente su questo sito:
http://www.brianenofornaples.com/index.php

O perBacco, Bacchino!

Che modernità e che vini che ci saranno!?! Sicuramente campani, per Bacco!
Quasi quasi informo anche Violacea così la conosciamo.

Detto, fatto! Il sabato è combinato, così Ciccina non potrà più dire che non usciamo mai.
Ci iscriviamo.
Perfetto.
Certo questo Peter Schwalm non è che lo conosciamo proprio bene (ah, beata ignoranza) ma non è certo la solita musica (ed è già qualcosa).

Tra l’altro l’evento ci regala la possibilità di rivedere il complesso archeologico del Pausilypon romano del I secolo a.c. che ha un grandioso accesso con la Grotta di Seiano. Si tratta di un tunnel artificiale che, traforando la collina di Posillipo, congiunge Coroglio con la Gaiola, in pratica dopo 800 m. di percorso sfocia in un’area archeologica con un Anfiteatro da 2000 posti e un perfetto Odeon (per le rappresentazioni più intime) in ottimo stato di conservazione. Inoltre si affaccia su un tratto di mare bellissimo da fare invidia ai migliori panorami di Capri!
Un posto suggestivo e incantato.
Vedi qui, quo e qua.

Com’è, come non è, il sabato passa potando il legno secco delle rose (io), legando rampicanti (io), strappando erbacce (io), concimando le piante (io), trapiantando le nuove spezie (io), buttando il veleno (antiparassitario) (io), riempiendo 5 sacchetti di rifiuti organici (io), scopando e lavando a terra tutto il terrazzo (io), innaffiando (sempre io) mentre Ciccina è fuori a vendere e comprare moto e le ragazze lo sa solo iddio.
Ciccillo potete vedere da soli cosa ha fatto tutto il giorno.



Quando fa così lo odio.

Giunta la sera ci chiediamo se mangiare qualcosa prima di andare al concerto ma prevale la tesi light perché con il vino ci sarà sicuramente companatico! Segue un breve dibattito su come raggiungere Coroglio, strada stretta e accidentata che non consente facile parcheggio (ma dove è facile il parcheggio a Napoli?).
Deciso, andiamo con la moto di Ciccina (la polisportiva).
E via, con caschi (quello di Ciccina ha le orecchie posticce dell’orso Ciccione attaccate sopra) e giacchini, guida Ciccina (io non so neanche metterla in moto la moto).
Fino a Posillipo tutto bene poi prima buca.
Dico “Umff” per l’insaccata. Grida lei all’indietro: “Che c’è?”.
“Niente”.
Seconda buca: “Auch!”
Lei: “Come hai detto?”
“Niente, niente.”
Terza buca, si sbullona la cervicale e: “CRIBBIO!”
Lei: “Allora?”
“ALLORA CHE?” faccio io con il collo incriccato.
E anche un po’ aggressivo.
Lei: “che succede?”
Io: “niente, niente, non ti preoccupare.”
“Sto cercando di evitarle (le buche).”
L’omissione mi dichiara che sa bene cosa sta succedendo.
Si sente in colpa e forse non sta facendo tutto quello che potrebbe fare per evitarle le buche (visto? Io non ometto).
Alla fine si giunge in qualche modo.
Scendo dalla moto dolorante e intorpidito e ci avviamo alla fila.



Ci lasciano entrare a piccoli gruppi per percorrere lo splendido tunnel semibuio allietati da incursioni sonore inquietanti e rarefatte tanto che verso la metà il gruppo si sgrana e cominciano i sorpassi. I giovani allungano il passo seminando il resto del gruppo. Noi manteniamo la posizione a fatica, solo perché siamo abbastanza allenati. 800 metri in salita in 11 minuti netti.
Non male.
La suggestione continua alla fine del tunnel dove tutta l’area degli scavi è illuminata con candele a terra. Ci si vede poco ma è bello.
Ci guardiamo intorno cercando qualcuno da salutare.
Niente, che strano?! In genere incontriamo sempre qualche amico, ma questa è gente mai vista.
Boh!?
Cerco con lo sguardo le istallazioni, niente.
I chioschi, niente.
I box, niente.
Le roulotte, niente.
Le botti, niente.
Mi risolvo a chiedere ad un indaffarato omino arancione (protezione civile, non buddista) dove sono i rinfreschi.
Mi guarda interrogativo.
Mi chiedo cosa ci sia da guardare e da non capire.
Gli mostro la Enocard e chiedo: “Allora dove è l’evento?”
Mi guarda stupito ed esclama: “ma è questo l’evento!” e fa un gesto vago ad indicare tutta l’area e una platea di seggiole.
Tra me e me penso di aver incontrato un rincoglionito poi mi calmo e mi dico che lui è addetto alla sicurezza mica alla cultura?
Insomma, in preda a foschi presagi, mi giro, rigiro e raggiro tra un odeon e un anfiteatro, tra un dirupo e una staccionata, niente.
Non c’è niente, neanche un bar.
Il nulla solidificato.
Sconvolto afferro il Protettore Civile di Napoli per il bavero e gli urlo: “e la toilette, dov’è la toilette????”
“All’ingresso.” E si allontana un pò seccato.
Ventidue minuti per una pipì. Troppi. Lo spettacolo sta per cominciare.
Un uomo invisibile fa “scià, scìà, prova” e comincia a ringraziarci di essere intervenuti a questa serata voluta da Braian Ino e dedicata a Napoli.
Mi cominciano a ronzare le orecchie, mi dico che è la cervicale.
Ciccina preoccupata mi fa sedere tenendomi per il braccio.
Invisible Man continua: “…questi i fondamenti del progetto voluto dal curatore e che Brian Eno ha sposato per Napoli, a suo vedere città fortemente simbolica dalle infinite possibilità.”
Braian Ino, Brian Eno, Enocard che si pronuncia Inocard.
Non ci posso credere (ah, maledetta ignoranza).
Ciccina comprende e abbozza da gran signora (poco interessata essendo quasi astemia), l’esperto di vini sono io. E ho detto tutto.
Incomincia l’evento.
Shhhhh!
Sul palco un signore con un basso, un giovanotto o una signorina (non so, non vedo bene) che guarda un maxi-mini-schermo o un mini-maxi-schermo (cioè uno schermo che dovrebbe essere maxi ma per la distanza è mini), una biondina che guarda una specie di tastiera e Tonino il verdummaro di vico Freddo a Santa Maria, giuro che è lui!
Tonino ha davanti a se tre tastiere di computer e altrettanti monitor.
Li guarda per un po’ con una concentrazione degna di Giorgio Cagnotto prima dell’oro dalla piattaforma dei 10 metri.



E comincia.
Se i suoni ascoltati nel tunnel erano rarefatti, questi invece sono iterativi e ripetitivi.
Sono legati ad immagini che vanno e vengono, per lo più in bianco e nero.
Naturalmente suoni elettronici, un po’ freddi e distaccati, volutamente senza armonia.
Impossibili da fischiettare, tanto per capirci.
Sullo schermo compaiono immagini prima geometriche poi con una ripresa a pelo d’acqua di mare agitato, rollio.
Comincio a sentirmi lo stomaco e penso di aver fatto bene a non mangiare.
Ad ogni pausa ti viene da battere le mani per festeggiare la fine, ma non si sa se è finita sul serio ed ho paura della figuraccia.
Mi rannicchio sulla sedia impilabile in vera plastica. Mammina mia che scomoda che è.
Tonino, il verdummaro di vico Freddo a Santa Maria, imperversa saltando da un pc all’altro.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Ogni sette minuti si sveglia l’uomo con il basso e spara 2 arpeggi.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Ogni 12 minuti si veglia la biondina e fa qualcosa che non capisco su un attrezzo inusitato.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Il giovanotto o la signorina (non so, non vedo bene) continua a guardare il maxi-mini-schermo (o mini-maxi-schermo che dir si voglia). Anche qui: Caso o necessità?
L’umidità sale dal mare e ci attanaglia nonostante i giacchini.
Dopo trenta minuti (30) finisce il primo pezzo. Lo capisco dagli applausi e dagli ululati entusiasti.
Improvvisamente mi sento vecchio, disadattato come in una poesia di Alda Merini.
Ciccina mi guarda perplessa, legame empatico.
Comincia il secondo pezzo, gli ululati scemano (eh, eh, eh).
Shhhhhh!
Più o meno come prima, forse con una parvenza di ritmo per la comparsa di una batteria elettronica, of course, che non si capisce chi la suona. Tonino? La biondina?
Le immagini (sempre in bianco e nero) diventano verticali con un effetto illusorio di palazzi che “salgono” a cui, dopo un po’, si aggiungono nuvole che “scendono”, beccheggio.
Boccheggio.
Ciccina poggia il capino sulla mia spalla e si incastra perfettamente nel mio torcicollo. Mi rannicchio ulteriormente sulla sedia e piego la testa sui suoi capelli.
Li annuso soddisfatto, profumano da farmi rilassare.
Per due minuti esatti penso ad un impegno di lavoro della settimana prossima. Poi, forse la fame, mi ricorda che devo scrivere le ricette per il blog: quelle della grande cena.
Le conto, riso, 4 variazioni 4 di melanzane e pesce e il dolce di Pippotto, mammina bella 6 ricettuzze!
Poi la nuova sezione da inaugurare: CondiVisioni (Visioni di Condimenti) in cui riproduco le Vostre ricette, si proprio le VOSTRE!!!!!
Ho già fatte e fotografate la ciambella di carote degli Scriba, il pollo ai semi di papavero di Glo, l’esperimento n° X (che numero?, quando torno vado a vedere) di Lory, il flan di cipolle di Cavoletto, poi i fagiolini per Max ecc. ecc.
Tante altre sono ancora da fare!
Ma non è quello il problema, il problema è scriverci quattro sciocchezzuole vicino per raccontarvele sorridendo un pò. E per quello ci vuole tempo. Che ora non ho.
Allora mi avvilisco un po’ e la mente comincia a vagare lontano per evadere gli impegni, mi ricordo di quando andai a prendere mio fratellino malato a Fai della Paganella in meno di due giorni. Con l’auto di mio padre e con il mio amico/fratello che ora vive in USA.
Al ritorno mia madre mise mio fratello (quello vero, non l’amico) a letto e cucinò le linguine con i peperoncini verdi e pomodoro, alle 6 del pomeriggio. E chi le dimentica più le linguine con i peperoncini e il ritorno degli eroi!
Anche gli spaghetti alla Procidana si fanno con i peperoncini verdi però tagliati ad anellini e aggiunti al soffritto alla fine. E vogliono le alici fresche.
Mmmmhhh! Mi balena un’idea…
Quasi quasi…



Linguine, peperoncini e cozze!
Ma si! I peperoncini verdi li ho comprati e domani prendo le cozze.
Quindi si potrebbero fare con circa 1 chilo di cozze che pulisco e sbollento coperte a fuoco vivo, poi le svalvo e conservo l’acquetta di cottura.
Dopo lavo, asciugo bene e friggo in olio evo (per forza evo e dopo capisco il perché) i peperoncini verdi ma prima ne metto da parte una 15na per il sughetto. Man mano che friggo butto i peperoncini fatti (e per fatti intendo ancora verdi, mi raccomando che non devono dorare!) in una busta del pane (senza briciole) e aggiungo un po’ di sale.
Sacrifico quasi tutto l’olio del fritto ma ne conservo un velo che copre la padella dove butto 2 spicchi d’aglio e una punta di peperoncino (non è obbligatorio ma a me piace).
Mi seguite nel ragionamento?
Appena dorano li tolgo e aggiungo un mezzo chilo abbondante di pomodorini perini tagliati a metà (o schiattati come si dice da noi), li cuocio a fuoco vivace per … ma direi 6-7 minuti. Non di più perché sono buoni freschi.
Metto i peperoncini in un piatto fondo e aggiungo la salsa e tanto basilico ma conservo 4-5 cucchiai di salsa nella padella per dopo. Insieme ad una mozzarella di bufala faranno la loro figura.



Ci siete?
Io si, e mi lecco i baffi perché al pizzetto non ci arrivo ancora. Il contorno è fatto, se dio vuole (e perché non dovrebbe?).
Ora veniamo a noi e riprendiamo la salsa e la rimettiamo a fuoco vivo aggiungendo il sugo delle cozze bollite (ben filtrato ma che ve lo dico a fare…), direi, così a occhio (pardon, a memoria) 3-4 cucchiai, cioè a parità di salsa anzi meno e lascio andare mescolando con la cucchiarella. Il sugo perde il rosso e si arancia un po’. Va bene così, non vi preoccupate, è tutto calcolato.
Scegliamo la pasta.
È questo il vero problema! I peperoncini chiamano le languide linguine mentre le cozze implorano i vermicelli, duri e belli.
Che fare?
Ma, non so bene. Forse prevale il ritorno degli eroi.
Scelgo le linguine. Siete d’accordo?
Allora calo la pasta nell’acqua salata bollente (e con un cucchiaio di olio per non fare attaccare le linguine), 80 gr. a testa, va bene?
La salsetta, nel frattempo che rifletto e calo, si rapprende (che non è una cosa cattiva detta per un sugo), ci butto i rimanenti peperoncini tagliati ad anelli e le cozze sgusciate.
Scolo la pasta al dente, spadello per 2-3 minuti, aggiungo basilico e prezzemolo (si, tutti e due) e servo, che ne dite? Qualche cozza in più e fa da piatto unico.



“Flat?”
“Flat? Ti senti bene?”
“UHU!”
Non posso muovermi. Sono paralizzato.
“Flat, è finito, stanno andando via tutti.”
Sono indeciso se ho una tetraparesi spastica o una paralisi flaccida.
Forse quest’ultima è più credibile.
“AAAGRH, ho una paralisi flaccida, non riesco a muovermi.”
Mi hanno scollato in tre dalla seggiola di plastica. Uno era l’omino arancione.
Sorrideva soddisfatto.
Credo di essere uno dei pochi uomini al mondo capace di avere tre (3) mal di schiena contemporaneamente: alla cervicale (tra sesta e settima), alla scapola destra (apice supero mediale), e al passaggio dalla vertebra dorsale a quella lombare.
Al ritorno nel tunnel camminavo come uno zombie (per capirci).
Un bambino mi ha visto e si è messo a piangere.
Sorridevo soddisfatto.
Domenica si resta a casa.

Art performed by my little Daughter at Sunday morning (waiting for lunch)

venerdì 25 maggio 2007

Storie di scappa e pappa

Se son rossi fioriranno (in giallo)!

ILLATINI, DICA?”
“Pronto buonasera, sono il sig. Accomodare Perni, chiamo da Napoli, volevo sapere…”
“DICA PURE, DICA?”
“Cioè, emmh, prenotare per domani…”
“7, 30 o 9,30”
“Preferirei la sera, se possibile…”
“19,30 o 21,30?”
“Eh, dunque il treno…, facciamo alle 21,30 per due.”
“SIGNOR?”
“Perni, Accomodare Perni”
“A DOMANI SIG. PERNI”
TLLAC.
Rinfrancato dalla sintetica telefonata (nordica efficienza) confermo a Ciccina la prenotazione e passo a preparare il sintetico bagaglio.
Già, si riparte per l’ennesima volta ma questa volta la colpa (pardon, il merito) è tutto di Ciccina.
Fungo da cavalier servente o cicisbeo che dir si voglia per accompagnarla in quel di Firenze per un affaraccio suo.
Qualche consolazione ce l’ho: una mattina libera per gironzolare nella bellissima città e la cena da IL LATINI, la trattoria che compare (addirittura) sulla copertina del “Gambero rozzo” di Cambi.
La sera dopo ci rivediamo direttamente alla Fiaschetteria (così nacque e così si definiscono) in via dei Palchetti 6 r (tel. 055/210916).
C’è già una folla scalpitante composta di molti turisti stranieri, abbastanza italiani e qualche giovane fiorentino in cerca di forti emozioni. E noi.
In prima fila a cingere l’assedio credo ci sia la squadra di rugby dell’Irlanda.


Fiaschetteria Latini durante l’intervallo della partita
Forte della prenotazione, sorrido rassicurante a Ciccina (che mi sembra pallida e spaventata) e lancio qualche commento sulla stupidità di chi non prenota nei locali famosi. Insomma maramaldeggio un po’. Mi faccio strada a gomitate, pervengo in qualche modo all’ingresso e mi trovo di fronte Hugh Grant in minimis.
Comanda lui l’accesso.
“Perni, Accomodare Perni!” grido dietro le tremende spalle della seconda linea (lock) d’attacco della nazionale irlandese.
Mi alzo in punta di piedi, Hugh evade il mio fiammeggiante sguardo. Rigrido.
Sguarda appena la lista: “Non risulta.”
“Ma come non risulta?! Guardi bene, Perni, Accomodare Perni, ore 21,30!”
Ciccina, saltella imbarazzata, con un saltello scorge il Grant’uomo, sgomita e passa avanti.
Chiaramente gioca sull’occhio ceruleo e quella dolce abbronzatura che le dona la vita sportiva.
A bassa voce ripete: “Perni, Accomodare Perni”.
Le parole pacate e stentoree fanno vibrare i prosciutti appesi all’interno.
Risguarda la lista: “Non risulta.”
Resiste anche a Ciccina abbronzata, sarà mica gay?
Finto a destra e sfondo la seconda linea sulla sinistra, guadagno la meta.
Siamo di fronte, io e lui.
La musica si alza tesa e ricorda il miglior Morricone.
Ci guardiamo.. Un tic gli guizza sul bel volto tra sopracciglio e zigomo destro.
Ha riconosciuto il mio dialetto. Per lui potrei essere Sandokan (quello di San Cipriano).
Stempero.
“Può ricontrOllare, per favore?” e sulla O di rincontrOllare faccio casualmente la boccuccia a rosellina.
Ricontrolla: “Niente, mi spiace”.
Guarda lungo, chiama otto persone a caso (mi sembra).
Genere Ameba?
Comincio a sobillare le masse con la tecnica di Masaniello, commento, mugugno, bofonchio, spargo dubbi sulla regolarità degli ingressi ed in cinque minuti netti siamo ammessi in sala.
Ci sistemano con altre persone, due ragazze americane simpatiche e ridanciane ed una coppia siciliana.
Siamo fortunati, i siciliani sono di buona compagnia, lei somiglia ad una Nancy Brilli del palazzo accanto e lui si pone fisicamente tra Pippo Baudo e Franco Battiato, persone colte e gradevoli, ceppo normanno, appassionati di cucina ma (fortunatamente per noi, e dopo capirete perchè) a dieta.
Inoltre conoscono il (sor) Latini e non è da poco (doppia fortuna, e dopo capirete il perchè)!
Quando arriva il cameriere stiamo già sorridendo tutti insieme e le vicissitudini esterne giacciono dimenticate.
Le ragazze ordinano vino bianco e ravioli + insalatina, sorridiamo comprensivi e un po’ saccenti, ci guardiamo in quattro (anzi in otto occhi) e ordiniamo all'unisono antipasto di salumi, ribollita, zuppa di farro e bisteccona, Chianti della casa e: “Poi vediamo per il dolce, grazie.” Ridiamo compiaciuti.
Passa a salutarCI il (sor) Latini in persona e ci accomuna idealmente ai suoi amici siculi.
Cambio di passo, arrivano i ballon tipo Bordeaux, cambia il vino (che già era buono), arriva subito anche il mega vassoio di affettati con un prosciutto sublime e un’ancora più sublime finocchiona delle dimensioni della classica mortadella. Uno spettacolo.
Qui nasce il problema: Ciccina non ama i salumi (donna da formaggi) e gli amici siculi sono a dieta ferrea (storie di colesterolo, annuisco a bocca piena, molto comprensivo). Non è certo il posto in cui andare per il sottile.
Insomma faccio quel che posso e mantengo alto l’onore degli astanti.
Il vassoio viene ritirato vuoto.
A seguire ribollita e zuppa di farro in zuppiere esagerate.
Loro saggiano languidi e insistono per farcele svuotare mentre raccontano della loro bella regione.
Ciccina contribuisce al racconto per le sue ascendenze catanesi, io sorbisco a cucchiaiate asciugandomi educatamente col tovagliolo un filino colante. La ribollita è da sballo, impensabile replicarla.
Mi sento costretto a raddrizzarmi sullo schienale della sedia e guardarmi un po’ intorno per sgranchire il collo.
Tutto procede bene, passa Hugh Grant, gli sorrido affettuoso.
Arrivano le bistecche, impallidisco.
Qui Ciccina mi da una mano valida. Ci sono persone che è meglio comprarle un vestito che portarle a cena.
I Trinacri sbocconcellano vaghi e lasciano anche la bistecca. La guardo in silenzio, con una punta di tristezza.
Domani piangerò, lo sento.
Rifiutiamo il dolce con decisione, come un unico sodalizio.
Ripassa Hugh e gli chiedo un Glen pensando a una parentela. Non capisce e mi porta una grappa sicula (forse in onore dei nostri nuovi amici).
Paghiamo il conto: 35 euri pro capite e caracolliamo soddisfatti verso la porta, non senza ammiccare al portiere/cerbero.
Cerco un biglietto da visita da scambiare con i siculi ma, mentre prendo il portafogli ricordo di non averli mai avuti. Lo ripongo mesto e mi riprometto, per l’ennesima volta, di farli stampare al più presto.
Concludendo: l’impressione di una catena di montaggio per l’ingrasso di oche (turistiche) da foie gras rimane ma sulla alta qualità e bontà dei cibi non ci sono dubbi. Ed il conto, con i tempi che corrono, è da bettola.
Sorprendente.

Ad ogni buon conto, e sicuro che voi siate più bravi di me, vi posto anche la ricettuzza della Ribollita secondo Il (sor) Latini. Io, dopo aver gustato la sua meraviglia, non ci provo nemmeno a farla e resto convinto che, in questa ricetta, manchi il segreto:
Ribollita (secondo il Latini)
Ingredienti: Cavolo nero, Cavolo verza, Bietola, Porri, Carote, Cipolle rosse, Pomodori maturi, Sedano, Fagioli cannellini, Prezzemolo, Basilico, Pane parzialmente integrale cotto a legna, Olio di oliva e.v.o. (di quello bono) Sale e pepe.
Preparazione: Soffritto di cipolla e olio di oliva. Aggiungere pomodori possibilmente passati. Dopo aggiungere le verdure, precedentemente tagliate a dadini. Aggiungere i fagioli con la propria acqua. Quando il minestrone così preparato è pronto, coprire con strati di pane tagliato, aggiungere olio di oliva e far bollire.

Ma, per non lasciarvi a bocca asciutta, apparecchiate pure la tavola che vi posto la mia ricettuzza della altrettanto mitica:

Pappa col pomodoro



Ingredienti : Per 4 flaccide persone
800 g. di pomodori San Marzano maturi
350 g. di pane integrale raffermo
2 spicchi d’aglio
Peperoncino
2 cm di zenzero, sbucciato e tritato
Basilico, prezzemolo e mentuccia fresca
1 litro di brodo vegetale (usano anche quello di carne ma forse…)
Olio extra vergine di oliva (di quello bono), 3 cucchiai



Preparazione :
Versate l’olio in un tegame e fate rosolare un battutino di zenzero fresco tritato, aglio, peperoncino, prezzemolo, menta e basilico. Aggiungete i pomodori precedentemente scottati e pelati, fate cuocere fino a raggiungere il bollore, aggiungere il pane tagliato a fettine sottili, mescolare bene e quando il pane avrà assorbito la salsa di pomodoro aggiungere il brodo bollente regolando il sale. Far bollire per circa 15 minuti aggiungendo altro brodo se occorre. Lasciare riposare per circa un’ora, quindi mescolare bene per disfare completamente il pane.
Servire calda ma non bollente con un filo d’olio a crudo ed un ciuffetto di basilico.



Se la servite fredda, in bicchiere alto, come un gazpacho andrebbe meglio la cipolla al posto dell’aglio e l’aggiunta di aceto (o limone) per esaltare la piacevole acidità del pomodoro (e magari un cucchiaino di wodka?) decorato con un gambo di sedano bianco fresco.
Buon appetito anche da Gianburrasca!

lunedì 21 maggio 2007

Un tranquillo week end di paura


Fior di cipollina

E qui siamo giunti alla prima grande cena da quando siamo dei veri food_bloggers!
Vittime sacrificali due cari amici statunitensi e qualche accolito del luogo raffazzonato nella speranza che mastichi l’inglese.
Speranza vana. Se non era per Ciccina e Pippotto (che con il dolce ha dato il meglio di se mentre la sua pronuncia si è rivelata un po’ carente) sarebbe stata una cena degna delle prime comiche mute in bianco e nero di Charlot.
Naturalmente il leit motif era freschezza e leggerezza.
Non so se ne sia valsa la pena (per loro) ma noi ci siamo divertiti molto e abbiamo lavorato moltissimo per pensarla, coordinarla, fare la spesa e cucinarla. E stato come stendere un progetto di lavoro pianificando tempi e operazioni.
Alla fine eravamo distrutti con mal di schiena e piedi a pezzi.
Ora abbiamo ancora più rispetto per i cuochi (quelli veri).
E incredibile pensare che se questi amici fossero venuti solo due-tre mesi fa avrebbero mangiato spaghetti a vongole e pezzogna all’acqua pazza, babà di Cimmino (mica male, però?).
Potenza di internet!
Bene, vediamo insieme il menu (e le ricette che vi propinerò nel prossimo futuro cercando di ricordare le fonti, eh eh eh):

Cestino del pane (perché mio padre mi ha insegnato che un ristorante si valuta subito dalla bontà del pane): pane alle olive, pane ai friarielli, mini taralli napoletani pepe e mandorle, taralli lunghi alle alghe (non voglio sapere di dove);

antipasto: fagottino di bresaola con robiola, yogurt greco e erba cipollina, spiedino di prosciutto San Daniele con melone e con ciliegina di mozzarella di bufala, olive varie e cucunci all’aceto;


primo: corona di riso al limone, rughetta e prezzemolo con gamberoni in salsa cocktail;


secondo: variazioni (vanno molto di moda) di melanzane e pesce, partendo da sinistra, per favore, A crema di melanzane cotta in brodetto di teste di gamberi e pomodoro con gamberoni scottati al cognac (e poco pomodoro), B canestrino di frolla con dip di melanzane e ricotta di vacca, vellutata al limone (e acqua di cottura delle cozze) e cozza (appena aperta), C involtino di melanzana fritta con pesce spada teriyaki (avremmo messo il tonno ma vendevano solo un magnifico tonnetto intero da 4 kg e il freezer è pieno, peccato), D parmigiana di melanzane, scamorza e pesce bandiera (e qui c’è stato il flop perché la scamorza ha ucciso il pesce bandiera molto delicato, peccato);


Rompigusto: sorbetto al limone e cedrello (liquore al cedro della premiata ditta);


Incidente: mentre passo per servire il sorbetto faccio cadere la macchina fotografica digitale dell’ospite e la rompo;

Digestivo: spiedini di pecorino dolce umbro e provolone del Monaco piccante con pere conferenza e uva con un velo di miele di acacia (non fotografati perché era appena successo l’incidente);

Dolce: cheesecake allo yogurt e succo di lamponi freschi (perché sono allergico alle fragole).


Se dovessimo giudicare dai bis, ha prevalso nettamente, ed in modo inatteso, il cestino di frolla con melanzane, ricotta e cozze! Tre bis su otto astanti più Ciccillo che, approfittando di una distrazione, ha assaltato il vassoio con gli esuberi.
Mentre noi contavamo molto sull’involtino di spada teriyaki e la parmigiana di melanzane, scamorza e pesce bandiera (mezzo flop).
Dopo cena, abbiamo salvato il salvabile e senza nemmeno sparecchiare siamo andati a dormire esausti.
Oggi ci tocca la bellissima (e caldissima) Firenze.
Alla prossima!
Besos ;-]

giovedì 17 maggio 2007

La Banda degli Onesti



Provocato dal quel bel Tocco di Zenzerina ho aperto il cascione.
Vediamo un po’?
Mmh, questo no.
Questo no.
Quest’altro forse.
Questo potrebbe ritornare utile.
No no, questo proprio no.

Cribbio, qualcosa ci sarà che non mi serve.
Niente, ho la sindrome dell’abbandono. Ogni oggetto che ritrovo penso che possa (prima o poi) tornare utile anche se non l’ho mai usato!

Eppure, eppure una cosina ci sarebbe: Eccolo!
Bene care amiche e cari amici!

Un vero cult del Cuochiinerba.
Un must senza il quale don Alfonso potrebbe aprire al massimo una bettola giù al porto.
L’unico, vero attrezzo che usa in cucina Vissani. E che non fa usare a nessun altro.
Un oggetto che Pietrangelini in persona ha tentato di rubarmi più volte (ma non glielo chiedete perché negherebbe spudoratamente).

Ergonomico, realizzato in vera plastica atossica, indistruggibile (ho provato più volte).
Vincitore assoluto per 26 anni di seguito del mitico Premio Cook_Styling_for_You_and_Me_Only_Together_Forever.
Un oggetto del quale non potrete fare più a meno (nemmeno se lo vorrete perché non lo riprendo dietro), insomma la vostra iattura.
Una macuba della cucina.
Sarete sue/oi schiave/i e mi benedirete ogni giorno (oppure ogni sera, dipende a che ora cucinate).

Come avete fatto a vivere senza di LUI?
LUI, IL MITICO AL!

Si scambia (a malincuore) completo di astuccio originale e di istruzioni in puro tedesco solo per uno sparapolpette pinolate.

Come?
Ho dimenticato di dire cosa è? Oh poffarbacco, ma farei torto alla Vs. cultura!

Ma siete proprio tutti matti?

Due di due


Cibo per pappagallini raffinati

To whom it may (not) concern


Ammesso e non concesso che a qualcuno possa marginalmente interessare qualcosa delle mie idee aderisco al cortese invito di Lory, precisando (ma emergerà clamorosamente) che, se di cibo bazzico i fornelli per nutrire il mio corpaccione avido con un casalingo gradimento, di vino bevo (con pacata moderazione) e basta.
E se la mia scuola di cucina è stata materna, quella enologica è stata paterna e per anni ha privilegiato i cd. Vini paesani.
Ora, sui vini “paesani” campani, fino a qualche anno orsono, si poteva stendere un pietoso velo (di bisolfito). Con una rara eccezione che troverete al punto 3.
Per fortuna ora le cose stanno cambiando.

Secondo te il vino è maschile o femminile?
Il vino rosso prevalentemente maschile, il rosato più femminile mentre il bianco va con tutti.

Sei più vino rosso, bianco o rosè?
Tendenzialmente rosso ma col caldo, pesce e cibi leggeri preferisco il bianco.

La tua prima volta ed il tuo miglior ricordo "emotivo" di un vino.
Per motivi di lavoro mio padre conobbe il “Custode del Vesuvio”, omino addetto alla sbarra alla fine della strada, lì dove c’era un tempo la stazione di partenza della funicolare (Funiculì, funiculà) distrutta nell’ultima eruzione del ’44 e poi la seggiovia, chiusa nel 1983. Il signore non è che avesse molto da lavorare e quindi coltivava viti, con perizia inusuale per l’epoca, e faceva ottimi vini. In quel periodo a casa mia arrivavano ogni tanto damigianelle del mitico Lacryma Christi del Vesuvio (autentico) rosso (Piedirosso) o bianco (Caprettone) ma quello che io preferivo era senz’altro il Lambiccato (Catalanesca, vitigno importato da Alfonso I d’Aragona verso la metà del 1400, credo sia uva da tavola) bianco dolce e frizzante (di quest’ultimo giungevano bottiglie contate). Erano i tempi dell’Asti spumante, il mondo era in bianco e nero, io ero sull’orlo dell’adolescenza e la parola brut era sconosciuta, a sentirla al massimo si pensava ai Brutos.


La miglior associazione tra un vino e una portata.
Sono un uomo da trattoria di campagna, allora, se posso ordinare, per me vorrei: provolone piccante, olive passolone conciate, salame di Mugnano, pane cotto a fascina e una bottiglia di Lettere rosso frizzante (e magari fresco). Il tutto a primavera sotto una pergola di limoni.

La tua migliore degustazione (prevista o fantasticata).
M.me Clicqot che mi invita ad una cena a lume di candele nel suo castello e stappa il suo miglior millesimato per accompagnare ostriche e aragosta (la pronipote andrebbe meglio).

Chi sceglie il vino a casa tua e chi amministra la cantina.
Io (Ciccina è quasi astemia ma sta studiando, Ciccillo ancora non l’ho capito).

Quanti vini hai in cantina?
13 etichette (17 bottiglie). Nella possibilità che detto numero porti sfortuna stasera ne stappo una. (mica volete l’elenco?)

Come inizieresti un giovane al vino?
Quando apro un buon vino (su un buon piatto) lo offro alle mie figlie da provare. Per ora schifano i vini quotidiani ma saggiano volentieri quelli migliori. Se continua così a me va bene.

***

E poiché mi trovo con la penna in mano (metaforicamente parlando), partecipo anche al meme degli Scribacchini e di altri prima di loro.

MEME chi sei? (ora mi sento uno spudorato)

SONO: tendenzialmente influenzato da quello che altri hanno già scritto. Sono tutti voi (almeno in parte). Sono un professionista che lavora, un uomo che ama molto (persone, animali, cose), un giovane che gioca a scrivere un blog, un padre che (in qualche modo) accudisce due figlie, un ragazzo che si diverte a cazzeggiare con gli amici…
TENDENZIALMENTE SEMBRO: un po’ burbero (così mi dicono, ma non è vero, o no?).
FREQUENTO: qui è facile, pochi amici e molti luoghi nuovi.
EVITO: la folla come la peste. Unica eccezione il primo scudetto del Napoli (e vorrei vedere!).
AMO: Ciccina, le mie figlie, il gatto, i miei amici, la mia casa, le mie cose di cui sono geloso, il mare, il Vesuvio ecc. ecc.
ODIO: chi ama molto spesso odia molto: i compromessi, gli accomodamenti, la viltà (ma a volte la capisco e la giustifico, non siamo eroi), i carrieristi, certi modi (meridionali?) di fare politica, affari, camorra usura…
ADORO: le mie figlie quando dicono: “Papi, ma è buonissimo!” anche se ogni tanto ho l’impressione che mi incensino un po’.
DETESTO: la sciatteria in particolare sentimentale, la mancanza di “cura”.
RICORDO: spesso ciò che vorrei dimenticare.
RIMUOVO: a volte ciò che dovrei ricordare.
RESTO INDIFFERENTE A: alle cose urlate (tranne il buon rock), agli show-risse televisivi, alle superbelle…
MI INNERVOSISCE: il circolo mediatico che si solleva (alimentato da un maligno interesse di parte) su alcuni fatti di cronaca che andrebbero riportati solo come tali, senza commenti o giudizi di valore e mi riferisco, per esempio, all’orripilante delitto di Cogne, di Erba, alle Maestre stupratrici, all’autista del pulmann di bambini fatto di marijuana.
MI RILASSA: leggere, fumare (solo tabacco e so che non dovrei), la presenza di Ciccina (a volte), sapere che le mie figlie sono a casa, un bel whisky torbato con gli amici, cucinare…
CHIEDO: che dall’illusione , si passi alla speranza e poi (in breve tempo) ai fatti. Che finisca l’ideologia della crescita economica esponenziale, che si faccia crescere (per almeno qualche anno) il cd. Terzo mondo. Perché quello che abbiamo basta e avanza ai più. Naturalmente chiedo lavoro vero per chi non ce l’ha.
OFFRO: interesse e curiosità per le storie altrui e un piatto cucinato. E sul piatto prometto buona volontà.
MI DEPRIMO: quando a via Toledo passa l’auto della Finanza e questi poveri cristi di abusivi scappano con le loro coperte piene di merce contraffatta. E dopo cinque minuti sono di nuovo lì. Mi sembra un’inutile mancanza di rispetto per la Finanza, per loro, per noi.
MI VESTO: perché devo (e anche perché è meglio).
MI SPOGLIO: lentamente, con malizia (ma il risultato non cambia).
MI ELETTRIZZA: un nuovo ospita a cena, lo tratto manco fosse Veronelli.
MI DEMORALIZZA: lo sterminio di massa che prosegue indisturbato nel mondo e che ora è portato dai “cristiani” Paesi occidentali ma non solo da loro. La globalizzazione dell’assassinio della povera gente.
MI PIACEREBBE: conoscervi tutti quanti perché siete bella gente. Mi piacerebbe fare una cena con voi. (magari ognuno porta qualcosa, eh?).


E visto che di mestiere da grande farò il food_blogger beccatevi questo passato di carote squisito e disintossicante (lo so, non dovrei dirlo io e aspettare che lo proviate).


Ingredienti per 2 che non hanno superato la prova costume:
carote gr. 500
cipolle 500 gr. (circa 2 grandi)
olio evo 3 cucchiai (meglio burro se si può)
Maizena 3 cucchiai rasi
Latte fresco 4 cucchiai
Parmigiano
Sale & pepe
Prezzemolo
Una goccia di aceto balsamico

In olio mettete a colorare le cipolle tagliate a fette sottili, quando si ammorbidiscono aggiungete le carote tagliate a rondelline, coprite e lasciate andare a fuoco dolce senza bruciare (come faccio io spesso), aggiungete la maizena e il latte a poco a poco mentre girate per evitare grumi. Continuate la cottura dolce a pentola coperta e regolate il sale.
Dopo circa 15 minuti, se le carote sono morbide (ma non sfatte) passate il minipimer, altri 5 minuti ed è fatta, lasciate riposare.
Parmigiano, prezzemolo, pepe, un goccio d’aceto e a tavola.

mercoledì 9 maggio 2007

La prima sensazione fu di essere in vacanza con seppie, carciofi e cozze

fior di peperoncino

Forse non tutti sanno che (e forse ai più non gliene frega giustamente niente) che, in alcuni momenti dell’anno noi (a volte io da solo, sigh) si viaggia molto.
Se da un lato è bello perché si conoscono posti nuovi spesso belli, genti nuove spesso simpatiche, si conoscono anche trattorie nuove nelle quali si mette alla prova il nostro discernimento nel comprendere (da ignoranti quali siamo) cosa è tradizione e cosa innovazione nella cultura culinaria locale.
Non c’è dubbio che se è vero che la materia prima parla di mari e terre (disponibilità = tradizione) è nell’accoppiarsi degli elementi nella fucina alchemica dei tegami che si rivela (e rileva) la capacità innovativa, la giovinezza di un popolo, la capacità di ampliare il futuro.
Questo naturalmente vale per i paesi ricchi, dove c’è la possibilità, il lusso di scegliere di ingozzarsi fino a morirne o (semplicemente?) rifiutarlo anche qui fino a morirne.
Nel terzo mondo l’obesità è eccezionale e l’anoressia praticamente sconosciuta.
Ma c’è un altro indicatore dello sviluppo culturale di un popolo, di una città: il numero e/o la dimensione delle librerie.
In quasi ogni tappa, se il tempo ce lo consente, ci infiliamo in una libreria e ci vagabondiamo osservando, rispetto alle nostre consuete, la distribuzione dei libri, il risalto (o l’omissione) nell’esporre novità, classici, generi diversi.
Credetemi, si impara molto sulla “costituzione”, sulle aspirazioni, sulle abitudini degli autoctoni.
Recentemente a Forlì ne abbiamo visitata una ampia e bella sul corso principale, in assoluta assonanza ai nostri gusti (tutto è soggettivo!), ricca di generi diversi ben rappresentati, con un occhio attento alle novità (non solo l’onnipresente Wilbur Smith) ed ai gusti (eh, eh, eh), tra le decine di libri di cucina et similibus c’era veramente da perdersi ma non solo tra quelli.
Mentre Ciccina comprava “La cucina di Bahia ovvero il libro di cucina di Pedro Archanjo e Le merende di dona Flor” di Jorge Amado e Palma Jorge Amado (figlia) io mi sono perso, per esempio, sul un tavolo dedicato esclusivamente alla riedizione di Maigret de gli Adelphi.
C’erano praticamente tutti i volumi usciti sinora. Credo siano più di cinquanta rispetto ai 76 scritti da Simenon. Personalmente ne ho 47 in varie edizioni (di cui alcuni doppioni), compreso quelli di Mondadori con il dorso telato (da 200 £) comprati usati sulle bancarelle di Portalba a Napoli. Comprenderete bene (e giustificherete) la mia immersione total body in quei libri. Purtroppo, non essendo un bibliofilo ma un divoratore, dei titoli posseduti ne ricordo solo alcuni e, spesso, li confondo con quelli che desidero acquistare e che memorizzo in quel colabrodo della mia mente. D’altra parte il vizio di incellofanare i libri, seppure garantisce di comprare libri intonsi, impedisce agli smemorati una rapida scorsa chiarificatrice.
La naturale conseguenza è che spesso compro gli stessi libri più volte.
Insomma, per farvela breve, ne compro tre la cui lettura ho rimandata sino a pochi giorni fa, quando gli impegni di lavoro si sono momentaneamente diradati, e sono riuscito, di nuovo, a giungere al momento del temporaneo congedo non tanto stanco da non riuscire ad aprire un libro e leggere qualche pagina.
Il primo, “Il cavallante della Providence”, è andato bene, non l’avevo letto, ma mi ha lasciato una puntina di insoddisfazione in quanto, pur disegnando in modo efficace la psicologia dei personaggi (ovviamente in particolare dell’assassino/a) entra, a mio gusto, tardi nell’atmosfera e si sperde un po’ per fratte.
L’ho finito stanotte mentre aspettavo le dolci pulzelle (mie figlie) che rientravano dal crazy Saturday Night party che si svolge in questa città ogni week end.
Che devo fare? Loro sono grandi (20 e 17) ma io, come un cane pastore, se non sono a casa dormo male.
Stamane (un po’ rinco per avere fatto tardi, molto tardi) mi alzo e, mentre Ciccina (l’anima bella) prepara il caffè elenco le cose che dovremmo fare visto che è domenica: cambio di stagione (urgentissimo), terrazzo (pulire, tagliare, legare, concimare, affrontare cocciniglia e afidi imperanti, urgentissimo), cucinare per pranzo (moderatamente urgente), fare bucato (urgentissimo), pulire qualcosa o qualcuno (urgentissimo: la ns. polacchina è in ospedale perchè ha mangiato le cozze crude, ma ti pare a te che qualcuno a Napoli mangia ancora le cozze crude?).
Nel frattempo spunta il sole dopo diversi giorni di pioggia e Ciccina, atletica e sportiva com’è, non perde occasione, chiama un’amica e, in tutina (se ingrassa un altro chilo gliela nascondo, giuro) e scarpette, parte alla volta di Posillipo lasciandomi davanti ad una caffettiera ormai fredda. Solo, in tenuta notturna (vi assicuro, non è uno spettacolo edificante), con le figlie dormienti.
Vigliacca.
E magari vuole pure mangiare all’una.
Scendo presto a fare la spesa (qui si fa la spesa anche di domenica, per fortuna) per non affrontare gente. Purtroppo fa caldo e non posso mettere il cappotto sul pigiama allora mi lavo e vesto alla svelta (insomma non sembro proprio mister Dior).
Tappa unica il pescivendolo, lo guardo, ricambia, osservo i calamari grandi e belli, un po’ rosati, mi osserva con disprezzo, accarezzo con gli occhi le spigole greche lucide, sottecchia beffardo, mi allargo a destra verso la bacinella delle seppie, sorride soddisfatto, le indico e: “Me ne da un chiletto (da noi è tutto un vezzeggiativo) ben pulite?”
“Cumm’e vulite fa [Come le volete cucinare]?”
Domanda ovvia, imbarazzo gelido.
Come le voglio fare?
Mi viene in mente in una folgore, a spezzatino! Ma come glielo spiego?
Per favore le tagliate a parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm?
Non ce la faccio: “Ad anelli.” È un buon compromesso.
“E u nivure u bbulìt (e il nero lo volete [NB: la sacca del nero è un mio diritto essendo compresa nel prezzo in quanto le seppie sono pesate prima della pulitura])?”
“No grazie.”
Perdo punti (FdZ freme nell’aere internettiano per il mancato utilizzo del sacchetto ma a me il nero fa schifo).
Tecnocrati.com mi cancella dal rank.
“Quacch’ata cosa [Gradite altro]?” “No grazie. Anzi forse si, le cozze [belle, grandi, spagnole o adriatiche?] sono stabulate?”
Non perde tempo a rispondere: “Quante ne bbulìt?”
Mi svacco subito: “Un chiletto, [ci riprovo] ben pulite”.
“Dottò, e cozzeche ve pulit vuie”.
Me ne da 2 chili perché uno non serve a niente (questioni di sfrido, mi convince).
Pazienza.
Rientro rapido, strisciando sotto i portoni, nell’ombra del rifugio domestico tra i miei libri e fornelli accoglienti.
Scartoccio il pesce sul top Aiko, le cozze le metto a spurgare nel lavandino e riempio d’acqua, butto un po’ di sale grosso (è solo un intervento psicologico perché se sono stabulate non serve e se non sono stabulate non serve lo stesso, ma che vuoi fare?).
Guardo avvilito le seppie tagliate ad anelli.
Che fare [disse uno più grande di me]?
Riaccattorcio le seppie, mi dico che è presto, c’è tempo e le metto in frigo, in basso al ripiano della carne. Dopo vediamo.
Preparo un caffettino kimbo_oro (per le grandi occasioni).
Le figlie continuano a dormire. Ciccina continua a correre verso Posillipo.
Fa caldo, sul terrazzo l’aria è bella e il caffè non è venuto mica male.
Corsetta in camera a prendere il secondo libro di Maigret “Liberty bar” –Bar (della) Libertà- traduco dotto e mammolo.
Mmmmh, intrigante il titolo.
Sorseggio il caffè, accendo una sigaretta, pregusto e scartoccio.
Leggendo il risvolto di prima apprendo che l’amico George tra il 1931 e il ’72 ha pubblicato la bellezza di 76 romanzi e 26 racconti con il commissario Maigret. Perbacco! Mi faccio due conti aiutato dalla caffeina e dalla nicotina: 1,85 romanzi e 0,34 racconti/anno solo per Maigret per 41 anni consecutivi. E poi ci sono gli altri romanzi (belli anche quelli).
E io che mi lamento che non ce la faccio a postare una ricetta alla settimana!
Questo è stato scritto e pubblicato nel 1932, dunque uno dei primi!
Un romanzo di formazione (?).
Il risvolto racconta che il famoso commissario è ad Antibes, nella splendida Costa Azzurra di quegli anni, per indagare sulla morte di un uomo che gli somiglia stranamente!
Caspiterina!
Un (forse) ex agente segreto australiano, riservato, misterioso, duro in apparenza ma bonario, in cerca di una vita tranquilla (come lui, capisco).
William Brown (così si chiamava l’australiano) viveva con due megere (figlia sguaiata amante e madre volgare parassita) ma aveva una doppia vita: frequentava di nascosto “la casa dove non si parla mai del passato”. Il Liberty bar (dal risvolto: estremo rifugio di chi ne ha viste di tutti i colori e aspira solo all’oblio. Desiderio che forse cova anche in Maigret)!
Oh poffarbacco!
Mi metto più comodo con due cuscini (uno alla schiena e uno sotto le gambe).
Continuo dal risvolto di copertina: nell’atmosfera languida della costa Azzurra, il commissario giunge a dubitare di se stesso e della voglia di risolvere il caso.
Ma stiamo esagerando?!
Forse che l’innocenza del colpevole o la colpevolezza degli innocenti lo ferisce al cuore morale?
Un vago senso di colpa balugina anche alla mia mente.
Guardo le piante impidocchiate.
Mi dico solo un capitolo.

Traduzione di Ida Sassi.

Capitolo 1: il morto e le sue donne.
Incipit: La prima sensazione fu di essere in vacanza.
L’ho letto! Cribbio. Mannaggia al cellofan e a chi l’ha inventato!
E mo?
Leggo un altro po’.
Ricordo e non ricordo.
Vaghe reminiscenze di una storia bella.
Decido che non ricordo.

E rigirava meccanicamente fra le mani la fotografia di quel Brown che aveva la faccia tosta di assomigliargli.


Tic tac

Capitolo 2: parlatemi di Brown…

“Che cosa faceva di sera Brown?”

Allora il commissario entrò nel Liberty bar.


Tic tac

Capitolo 3: la figlioccia di William

Il bar era vuoto.

“Lei mi fa venire in mente William… quello era il suo posto… Anche lui quando mangiava posava la pipa vicino al piatto… Aveva le spalle come le sue… Sa che lei gli assomiglia?”. Si limitò ad asciugarsi gli occhi, senza piangere.


Tic tac

Capitolo 4: la genziana
Era l’ora rosata, ambigua, in cui l’umidità del tramonto si dilegua nella frescura della notte che si avvicina.

“Per favore, mi fa portare una bottiglia d’acqua?” chiese, avviandosi su per le scale.


Cribbio, ho dimenticato l’acqua minerale!!!!!!!!!!!!!!!!!
Che ore sono? Tardi, sono le 12.
Ricompattiamoci e salviamo il salvabile.
Nell’ordine:
via il libro;
svegliare le ragazze;
pulire le cozze;
cuocere le seppie;
fare il bucato;
pulire casa;
mettere mano al terrazzo.
Impossibile.
Riproviamo:
via il libro;
mettere a fare il bucato (da un idea di pulito);
passare la scopa elettrica (senza andare tanto per il sottile);
scopare il terrazzo (idem);
pulire le cozze (obbligatorio);
mettere a fare le seppie (necessario);
svegliare le ragazze (il più tardi possibile così non intralciano).
Possibile.

Esecuzione:
Per 4 personcine a modo (loro).
Con una spazzola di metallo grattate bene (e velocemente) le valve delle cozze eliminando alghette e denti di cane. Per i denti di cane potete usare un coltello.
Strappate, tirando verso la punta, lo strepponcino con cui si attaccano ai filari e ponetele in una pentola coperta a fuoco vivo senza acqua o altro. Girate ogni tanto per facilitare l’apertura.
Quando saranno aperte, scartate senza dubbi quelle poche rimaste chiuse (non sono buone).
Dei 2 chili, prendetene mezzo (kg) e sgusciatele in una piccola zuppiera, aggiungete un po’ di acqua di cottura dopo averla filtrata (colino + strofinaccio) e copritele.
Avviate la lavatrice a 30° gradi per non sbagliare.
Passate l’aspirapolvere nell’ingresso, corridoio e disimpegno pranzo.
Andate a portare il libro sul comodino.

Capitolo 5: il funerale di William Brown
Il sole già dava alla testa e, mentre nelle strade tutte le imposte erano ancora chiuse e i marciapiedi deserti, nella piazza del mercato la vita pigra e serena era cominciata da un pezzo.

Maigret si mise ad aspettarlo sotto un lampione, con le mani in tasca, la pipa tra i denti e l’aria scontrosa.


Posate il libro chiuso sul comodino. E non siate scontrosi.
Uscite dalla stanza e giurate di non rientrare più fino a dopopranzo.
Prendete un chilo di seppie tagliate ad anelli e decidete cosa farne.
Guardate bene in frigo cosa c’è.
Cosa c’è?
Due carciofi comprati ieri.
Bene.
Prendetene atto, oggi si mangia:
Menu di domenica
Primi piatti
linguine con seppie, carciofi e cozze

Secondi a scelta
impepata di cozze

Contorni vari
insalata mista (in busta).

Dessert
no

Bene.
Alea iacta est (Giulio Cesare).

Tagliate le seppie a rettangolini/parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm (va bè, sto scherzando, tagliatele a pezzetti con una forbiciona). Mondate dalle foglie esterne i 2 carciofi, tagliateli a fette sottili (longitudinali), eliminate la barbetta (se c’è) e nell’attesa metteteli in acqua e limone (i carciofi).
In una padella capiente, tanto da poter ricevere al momento opportuno circa 400 gr. di linguine, mettete 4 cucchiai d’olio evo (uno per commensale), 2 spicchi di aglio mondati, peperoncino a piacere (direi a mezza forza, non troppo). Appena dorati, scartate aglio e peperoncino e buttateci le seppie a pezzi, fuoco medio.
Girate ogni tanto e quando dorano un po’, aggiungete i carciofi e fateli soffriggere.
Aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco bollente (lo stesso che servirete a tavola [ben fresco], evitate il Tavernello), fate evaporare, coprite e portate a cottura a fuoco dolce.


Correte a rifare il letto.

Capitolo 6: l’amico imbarazzato
A Cannes, Maigret si dedicò per ore al grigio lavoro che di solito si affida a un ispettore. Ma aveva bisogno di darsi da fare, di agire, o quantomeno di illudersi di agire.

La porta del bar si aprì, cosa che succedeva piuttosto di rado: un cliente si appoggiò al bancone e girò la leva della slot-machine.

Uscite dalla camera da letto e non rientraci più fino a dopo pranzo.
Ammassate velocemente le foglie dietro il vaso grande del terrazzo.
Il tempo è poco (verità lapalissiana).
Svegliate le ragazze per evitare che arrivino a tavola con gli occhi cisposi.
Rifiutate di preparare la colazione e affermate con aria risoluta che ormai è ora di pranzo, e che Cribbio santo! La prossima volta si sveglino prima (attenti con l’uso del congiuntivo a quest’ora, potrebbero non capire).

Se necessario aggiungete un po’ di acqua delle cozze filtrata (come sopra) alle seppie e carciofi.
Mettete la pentola della pasta con tanta acqua sul fuoco grande.
Apparecchiate sul terrazzo per 4 persone.
La scodella di Ciccillo resta dentro (lui non merita).

Accogliete Ciccina che torna tutta sudata, meno di voi, dalla piacevole corsetta con un bacetto sulle goccioline del labbro superiore. Non fatevi vedere assolutamente mentre vi detergete la bocca.
Regolate il traffico di accesso al bagno disputato da due ragazze incazzate (è sempre così, non so perché) e dall’atleta olimpica.
In cucina, di nascosto, asciugatevi il sudore dalla fronte e sorridete, sorridete sempre.
Anche se siete soli, tanto per non perdere l’abitudine.
Magari arrivano quelli di “Scherzi a parte”?

Con voce ferma, chiara e forte chiedete (alla casa): “Siete pronte? Butto la pasta?”
Restate calmi e soprattutto non raccogliete le provocazioni.
In fondo siete stati battezzati.
Appena bolle buttate le linguine (non nel cesso dove vorreste ma nell’acqua bollente e salata al momento del bollore).
Aggiungete un cucchiaio di olio nell’acqua (per non farle attaccare).
Girate la pasta ogni tanto.
Fate “Ohm” in espirazione e bevete un goccetto di bianco freddo per sdrammatizzare ma ricordate che l’alcolismo è la piaga domestica del terzo millennio e non si capisce perché.
Voi che lo capite non lo dite a nessuno perché tanto non vi crederebbero, ma che bella famiglia che siete!?
È inutile, i vostri hobbies sono la cucina e la lettura, siete un orso solitario, non c’è modo di evadere, non fate sport, a cinema dormite, “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Vi giungono urla belluine, avete paura che si facciano male.
Non drammatizzate oltre misura, fatevi un altro goccetto, in fondo sono sopravvissute sinora.
Date un calcetto amichevole a Ciccillo che continua a ronfare indifferente al cataclisma in atto nei servizi e annessi di questa casa.
Mi fa una rabbia.
Constatate le vostre colpe: avete sbagliato i tempi, tutti.
Ripetete “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Convincetevi che è vero.
Accendete sotto le seppie e carciofi e scolate le linguine al dente, buttatele nella padella e aggiungete le cozze sgusciate e, volendo, ancora un po’ di acqua di cottura (sempre filtrata ma che ve lo dico a fare?).
Urlate come una belva indemoniata: “È pronto a tavola!”
Fate i piatti, constatate che non avete, come al solito, fotografato gli ingredienti prima e nella rabbia potete solo documentare una padella mezza vuota.
Ma tant’è.


Dopo pranzo scendete a prendere un caffè al Liberty bar (dal risvolto: estremo rifugio di chi ne ha viste di tutti i colori e aspira solo all’oblio).

Capitolo 7: “Soprattutto, non vogliamo grane!”
Infastidito, Maigret si alzò e andò personalmente nel bar per evitare qualche manovra da parte delle due donne.

“Soprattutto, non vogliamo grane!”.
Nella hall l’ispettore Boutigues stava bevendo un porto in compagnia del direttore. Bei bicchieri da degustazione, grandi, di cristallo intagliato! E la bottiglia a portata di mano!

PULCINELLA DI GIADA MORSILLO

Scusatemi, ora ho il treno per Orvieto.
Alla prossima.

venerdì 4 maggio 2007

Cosa c’entra una poesia col food-blogging?


Niente, è chiaro.
Ma l’ho appena letta, mi è piaciuta moltissimo ed ho pensato di condividerla con i miei … compagni di merenda (cioè VOI).
Ma in fondo forse qualcosa c’entra con questa piccola arte del cucinare/accudire.
Almeno per me.
Mia madre è stata la mia maestra (l’unica, dunque la più grande) di cucina e di altro.
In fondo in fondo, se sono qui a raccontarvi quattro storielle romanzate è … per colpa sua.
Prendetevela con lei.
PS: spero di non ledere (involontariamente) diritti e sensibilità di alcuno ma se lo avessi fatto basta segnalarmelo, grazie.
Buon week end a tutti.

***

Il sogno della madre

Se state guardando una madre che dorme in poltrona
in un qualsiasi dopopranzo invernale
con il televisore temporaneamente spento
e con in casa l'imperiosa pace
di una raggiunta storia di famiglia,
restate lì, non ve ne andate
e copritela con uno scialle.

Stefano Dal Bianco
Ritorno a Planaval (Mondadori)


***

giovedì 3 maggio 2007

Le conseguenze dell’amore che, in altri termini, suona come: Fritto misto all’ascolana


C’era una volta una casa, di famiglia, chiusa da tanti anni che bisognava andare a visitare, a riaprire per risolvere tanti piccoli problemi che negli anni si erano cumulati.
Quale occasione migliore di un lungo ponte?
Quale?
E via, siamo partiti Ciccina, io e il desso, con la nostra mitica Saxò (1.100 cavalli di razza) alla volta di terre lontane.



Dove siamo stati?

i giocattoli di Ciccina (non amava le bambole, strana, eh?)


Attraversato l’Appennino, annusato l’aria di Vasto (magari FdZ stava cucinando i suoi nuovi piatti a base di pescato locale e ci invitava a pranzo? Niente) e infine giunti a dimora dopo, più o meno, 4 orette.
Premetto (voi lo saprete) che la pigrizia è il mio forte ma lo spettacolo (con rispetto parlando) era devastante.
Non so se avete mai riaperto una casa abbandonata?!
Naturalmente riscaldamento, acqua calda e gas per cucinare manco a parlarne. L’umidità maligna vi penetra nelle ossa e lo strato di polvere sui cui camminate vi arriva (giuro non esagero) alle caviglie.
Insetti morti e ragnatele vi accolgono spettrali, lenzuola e asciugamani puzzano di muffa.
Insomma ho sofferto un mancamento.
Ciccina, visto il mio scoramento, pratica e bella com’è, si è subito messa al lavoro, assicurando la sopravvivenza per la notte e spolvera, sbatti, scuoti, prendi in valigia, recupera metri quadri, butta DDT, ricava un quadrilatero di 12 mq adatto alla bisogna.
Diciamo un po’ come la storia di Davy Crockett a Fort Alamo assediato dai Messicani.
Insomma ci siamo messi di buzzo buono (si dice cosi?) al lavoro, ognuno per la propria specialità e in 48 ore la casa era abitabile (o quasi).
Ciccillo ha collaborato molto alle pulizie.


Io finalmente ho letto il libretto di istruzione della macchina fotografica (non proprio tutto) e ho fatto un po’ di esperienza.



Ma sono diventato anche un grande esperto in BBQ.


E appena ho potuto guardarmi intorno, con meraviglia ho appreso la bellezza dei luoghi. C’è pure il mare (in foto a sinistra una linguetta).



Ma non basta! Ci siamo concessi anche svago ed esplorazione.

In un blitz siamo andati ad Ascoli Piceno, una deliziosa cittadina marchigiana, alla III edizione del “Fritto misto all’italiana”. Una cittadina deliziosa ma ammantata di odore di … fritto (e cos’altro?).
Insomma una Festa dell’Unità (non so se avete presente) della zeppola e varie.
C’erano stand dell’Abruzzo (formaggio fritto), Alto Adige (krapfen ecc.), Campania (panzarotti e zeppoline), Emilia Romagna (torta fritta ecc.), Marche (da padrona, fritto all’ascolana e fritto di paranza), Piemonte (misto piemontese), Sicilia (arancine, panelle, siciliane, cuddridedda, cannoli [finiti]), Toscana (misto toscano) e “world food” India (samosa, mix pakora, gulab), Marocco (brewas dolci e salati, scebbakie), Perù (chicarron, pollo broaster ecc.), Portogallo (pasteis de bacalhau [mannaggia erano finite!], pataniscas, ecc.), Repubblica Slovacca (encian, palacinky).
Direi che lo stand siciliano era il più gettonato.
Grandi assenze il tempura giapponese (c’era una conferenza esplicativa [ma come si dice? Te la fai fritta?]), il carciofo fritto del ghetto romano (opinione personale) ed i felafel (o falafel).
C’era una … Vinea con alcuni vini regionali Piceno (rosso, notevole), toscani (buono come sempre il Chianti mentre il Sangiovese in purezza convinceva di meno [de gustibus…]), mancavano i vini chiari dell’Alto Adige che forse sui fritti si sarebbero sposati meglio, peccato.
Ma il peccato più grande era bere in bicchieri di carta.
Lancio una crociata contro il bicchiere di carta, chi mi segue?
(Una volta sono stato a Francoforte ad una fiera dei vini del Reno [veramente deliziosi], dove per bere le Aziende ti davano un bicchierino di vetro con il loro logo e tu lasciavi un deposito.
Se lo riportavi riavevi i soldi altrimenti conservavi il bicchiere ricordo.
Siamo ripartiti con 18 bicchierini. Questa è civiltà!)
Insomma lasciati gli stand abbiamo necessitato di riposo e accoglienza in un bel bar di piazza del Popolo (bellissima!) per bere una grande birra alla spina (per la cronaca una San Miguel).
La notte un bruciore di stomaco che non sto a raccontarvi.
Basta, non ho l’età per le feste dell’Unità e non ho nemmeno più lo stomaco (o il fegato?).
E dire che avevo 2-3 indirizzi di trattorie del “Gambero rozzo”!

Naturalmente il primo maggio non siamo riusciti a fare la spesa e quindi, tornati a casa, abbiamo avuto modo di iniziare una nuova sezione di questo blog: Le conseguenze dell’amore.
Cioè?
Piatti che derivano da altri piatti, insomma rimasugli, l’arte del riciclo o dello “svuota-frigo”.
Il piatto di stasera è una conseguenza (fantastica, quasi meglio dell’originale) dei famosi Spaghetti aglio e olio. Appartiene di diritto ai Falsi d’autore perché è della serie: si può fare una frittata senza rompere le uova?
A Napoli si può.

La frittata di Scammeri

Scammeri, chi era costui o costei? O cos’era?

a) Scammeri è una industriosa frazione di Ariano Irpino (AV) dove ci fu una moria delle ovaiole che costrinse la gente, in un lungo inverno, a sviluppare una cucina alternativa;
b) Aureliana Scammeri era una antipatica dirimpettaia di mia madre che, rimasta senza uova e non volendo chiederne in prestito, inventò per dispetto la mitica frittata (poi copiata suo malgrado da mia madre);
c) di Skammeri era la mia tata albanese, talmente povera che conosceva solo le capre che, come si sa, non fanno le uova;
d) Ska era il cuoco di bordo di una nave vichinga che, accortosi di aver dimenticato di comprare le uova prima di imbarcarsi, piuttosto che farsi decapitare, ingegnò questo piatto portentoso ma purtroppo gli venne bruciacchiato, allora il prode capitano Eron Kiapp lo fece buttare a mare (insieme alla frittata), rimase nella mitologia norrena in quanto la vedetta dell’albero maestro, vedendolo a bagno gridò: Ska a mer!;
e) Miss Mary Skam era una simpatica e cicciotella dietista del St. Mary Hospital di Oxford impegnata a diffondere i benefici connessi alla dieta mediterranea e amante dei (paesi) latini. Provò grande sconcerto quando, proprio lei, risultò ipercolesterolemica ad un normale controllo del sangue ed allora di necessità fece virtù ottenendo così il suo breve momento di notorietà (presso alcune famiglie napoletane);
f) Altro, specificare.


Ingredienti (per 2 piatti di spaghetti aglio-olio stasera e 4 porzioni di frittata domani)
Vermicelli 500 gr.
Olive nere di Gaeta 200 gr.
Capperi 70-100 gr.
Alici salate 4-5
Peperoncino qb. (ci vuole)
Aglio 2-3 spicchi
Olio evo saporito 6 cucchiai
Prezzemolo
Sale (pochissimo!)



Procediamo ché mi sta venendo fame.
Degli spaghetti aglio e olio esistono infinite varianti, tutte buone, con le noci, con il pan grattato (quello fatto in casa), con i carciofi, con i frutti di mare (of course), con i pomodorini ecc. ecc.!
Insomma almeno un terzo della cucina napoletana parte da questa base.
La ricetta di stasera sta alla Puttanesca come la gricia sta all’amatriciana.
Sciacquate e snocciolate le olive, dissalate i capperi e tritateli insieme a poco prezzemolo.
Mettete 4 cucchiai d’olio in una padella sufficiente a ricevere gli spaghetti al momento giusto.
Soffriggete aglio, alici e peperoncino, quando dorati toglieteli (le alici devono scomparire) e aggiungete il trito.
Portate a cottura in pochi minuti girando con una spatola e mettete da parte qualche cucchiaiata di condimento.
In abbondante acqua (POCO) salata cuocete i vermicelli al dente (io li ho cotti per 9-10’ invece dei 14 riportati sulla confezione, tanto per capirci), scolateli e saltateli brevemente in padella aggiungendo il resto del prezzemolo.
Servitevi, condite con due cucchiai di condimento che avrete messo da parte e mangiate con calma perché l’ansia a tavola fa male.
Conservate in frigo il resto della pasta.



L’indomani: ungete la già nota padella mitilus con i rimanenti due cucchiai di olio, ammassate bene la pasta avanzata, chiudete, sistemate un accrocco a pendenza e cuocete a fuoco dolce, facendo ruotare la padella obliqua sull’accrocco.
Dopo circa 15’ girate e ripetete la rotazione per altri 10. Deve risultare croccante fuori e morbida dentro.
Prima di affettarla aspettate che si raffreddi un po’.
Guten appetit!

Edizione straordinaria!