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giovedì 3 maggio 2007

Le conseguenze dell’amore che, in altri termini, suona come: Fritto misto all’ascolana


C’era una volta una casa, di famiglia, chiusa da tanti anni che bisognava andare a visitare, a riaprire per risolvere tanti piccoli problemi che negli anni si erano cumulati.
Quale occasione migliore di un lungo ponte?
Quale?
E via, siamo partiti Ciccina, io e il desso, con la nostra mitica Saxò (1.100 cavalli di razza) alla volta di terre lontane.



Dove siamo stati?

i giocattoli di Ciccina (non amava le bambole, strana, eh?)


Attraversato l’Appennino, annusato l’aria di Vasto (magari FdZ stava cucinando i suoi nuovi piatti a base di pescato locale e ci invitava a pranzo? Niente) e infine giunti a dimora dopo, più o meno, 4 orette.
Premetto (voi lo saprete) che la pigrizia è il mio forte ma lo spettacolo (con rispetto parlando) era devastante.
Non so se avete mai riaperto una casa abbandonata?!
Naturalmente riscaldamento, acqua calda e gas per cucinare manco a parlarne. L’umidità maligna vi penetra nelle ossa e lo strato di polvere sui cui camminate vi arriva (giuro non esagero) alle caviglie.
Insetti morti e ragnatele vi accolgono spettrali, lenzuola e asciugamani puzzano di muffa.
Insomma ho sofferto un mancamento.
Ciccina, visto il mio scoramento, pratica e bella com’è, si è subito messa al lavoro, assicurando la sopravvivenza per la notte e spolvera, sbatti, scuoti, prendi in valigia, recupera metri quadri, butta DDT, ricava un quadrilatero di 12 mq adatto alla bisogna.
Diciamo un po’ come la storia di Davy Crockett a Fort Alamo assediato dai Messicani.
Insomma ci siamo messi di buzzo buono (si dice cosi?) al lavoro, ognuno per la propria specialità e in 48 ore la casa era abitabile (o quasi).
Ciccillo ha collaborato molto alle pulizie.


Io finalmente ho letto il libretto di istruzione della macchina fotografica (non proprio tutto) e ho fatto un po’ di esperienza.



Ma sono diventato anche un grande esperto in BBQ.


E appena ho potuto guardarmi intorno, con meraviglia ho appreso la bellezza dei luoghi. C’è pure il mare (in foto a sinistra una linguetta).



Ma non basta! Ci siamo concessi anche svago ed esplorazione.

In un blitz siamo andati ad Ascoli Piceno, una deliziosa cittadina marchigiana, alla III edizione del “Fritto misto all’italiana”. Una cittadina deliziosa ma ammantata di odore di … fritto (e cos’altro?).
Insomma una Festa dell’Unità (non so se avete presente) della zeppola e varie.
C’erano stand dell’Abruzzo (formaggio fritto), Alto Adige (krapfen ecc.), Campania (panzarotti e zeppoline), Emilia Romagna (torta fritta ecc.), Marche (da padrona, fritto all’ascolana e fritto di paranza), Piemonte (misto piemontese), Sicilia (arancine, panelle, siciliane, cuddridedda, cannoli [finiti]), Toscana (misto toscano) e “world food” India (samosa, mix pakora, gulab), Marocco (brewas dolci e salati, scebbakie), Perù (chicarron, pollo broaster ecc.), Portogallo (pasteis de bacalhau [mannaggia erano finite!], pataniscas, ecc.), Repubblica Slovacca (encian, palacinky).
Direi che lo stand siciliano era il più gettonato.
Grandi assenze il tempura giapponese (c’era una conferenza esplicativa [ma come si dice? Te la fai fritta?]), il carciofo fritto del ghetto romano (opinione personale) ed i felafel (o falafel).
C’era una … Vinea con alcuni vini regionali Piceno (rosso, notevole), toscani (buono come sempre il Chianti mentre il Sangiovese in purezza convinceva di meno [de gustibus…]), mancavano i vini chiari dell’Alto Adige che forse sui fritti si sarebbero sposati meglio, peccato.
Ma il peccato più grande era bere in bicchieri di carta.
Lancio una crociata contro il bicchiere di carta, chi mi segue?
(Una volta sono stato a Francoforte ad una fiera dei vini del Reno [veramente deliziosi], dove per bere le Aziende ti davano un bicchierino di vetro con il loro logo e tu lasciavi un deposito.
Se lo riportavi riavevi i soldi altrimenti conservavi il bicchiere ricordo.
Siamo ripartiti con 18 bicchierini. Questa è civiltà!)
Insomma lasciati gli stand abbiamo necessitato di riposo e accoglienza in un bel bar di piazza del Popolo (bellissima!) per bere una grande birra alla spina (per la cronaca una San Miguel).
La notte un bruciore di stomaco che non sto a raccontarvi.
Basta, non ho l’età per le feste dell’Unità e non ho nemmeno più lo stomaco (o il fegato?).
E dire che avevo 2-3 indirizzi di trattorie del “Gambero rozzo”!

Naturalmente il primo maggio non siamo riusciti a fare la spesa e quindi, tornati a casa, abbiamo avuto modo di iniziare una nuova sezione di questo blog: Le conseguenze dell’amore.
Cioè?
Piatti che derivano da altri piatti, insomma rimasugli, l’arte del riciclo o dello “svuota-frigo”.
Il piatto di stasera è una conseguenza (fantastica, quasi meglio dell’originale) dei famosi Spaghetti aglio e olio. Appartiene di diritto ai Falsi d’autore perché è della serie: si può fare una frittata senza rompere le uova?
A Napoli si può.

La frittata di Scammeri

Scammeri, chi era costui o costei? O cos’era?

a) Scammeri è una industriosa frazione di Ariano Irpino (AV) dove ci fu una moria delle ovaiole che costrinse la gente, in un lungo inverno, a sviluppare una cucina alternativa;
b) Aureliana Scammeri era una antipatica dirimpettaia di mia madre che, rimasta senza uova e non volendo chiederne in prestito, inventò per dispetto la mitica frittata (poi copiata suo malgrado da mia madre);
c) di Skammeri era la mia tata albanese, talmente povera che conosceva solo le capre che, come si sa, non fanno le uova;
d) Ska era il cuoco di bordo di una nave vichinga che, accortosi di aver dimenticato di comprare le uova prima di imbarcarsi, piuttosto che farsi decapitare, ingegnò questo piatto portentoso ma purtroppo gli venne bruciacchiato, allora il prode capitano Eron Kiapp lo fece buttare a mare (insieme alla frittata), rimase nella mitologia norrena in quanto la vedetta dell’albero maestro, vedendolo a bagno gridò: Ska a mer!;
e) Miss Mary Skam era una simpatica e cicciotella dietista del St. Mary Hospital di Oxford impegnata a diffondere i benefici connessi alla dieta mediterranea e amante dei (paesi) latini. Provò grande sconcerto quando, proprio lei, risultò ipercolesterolemica ad un normale controllo del sangue ed allora di necessità fece virtù ottenendo così il suo breve momento di notorietà (presso alcune famiglie napoletane);
f) Altro, specificare.


Ingredienti (per 2 piatti di spaghetti aglio-olio stasera e 4 porzioni di frittata domani)
Vermicelli 500 gr.
Olive nere di Gaeta 200 gr.
Capperi 70-100 gr.
Alici salate 4-5
Peperoncino qb. (ci vuole)
Aglio 2-3 spicchi
Olio evo saporito 6 cucchiai
Prezzemolo
Sale (pochissimo!)



Procediamo ché mi sta venendo fame.
Degli spaghetti aglio e olio esistono infinite varianti, tutte buone, con le noci, con il pan grattato (quello fatto in casa), con i carciofi, con i frutti di mare (of course), con i pomodorini ecc. ecc.!
Insomma almeno un terzo della cucina napoletana parte da questa base.
La ricetta di stasera sta alla Puttanesca come la gricia sta all’amatriciana.
Sciacquate e snocciolate le olive, dissalate i capperi e tritateli insieme a poco prezzemolo.
Mettete 4 cucchiai d’olio in una padella sufficiente a ricevere gli spaghetti al momento giusto.
Soffriggete aglio, alici e peperoncino, quando dorati toglieteli (le alici devono scomparire) e aggiungete il trito.
Portate a cottura in pochi minuti girando con una spatola e mettete da parte qualche cucchiaiata di condimento.
In abbondante acqua (POCO) salata cuocete i vermicelli al dente (io li ho cotti per 9-10’ invece dei 14 riportati sulla confezione, tanto per capirci), scolateli e saltateli brevemente in padella aggiungendo il resto del prezzemolo.
Servitevi, condite con due cucchiai di condimento che avrete messo da parte e mangiate con calma perché l’ansia a tavola fa male.
Conservate in frigo il resto della pasta.



L’indomani: ungete la già nota padella mitilus con i rimanenti due cucchiai di olio, ammassate bene la pasta avanzata, chiudete, sistemate un accrocco a pendenza e cuocete a fuoco dolce, facendo ruotare la padella obliqua sull’accrocco.
Dopo circa 15’ girate e ripetete la rotazione per altri 10. Deve risultare croccante fuori e morbida dentro.
Prima di affettarla aspettate che si raffreddi un po’.
Guten appetit!

martedì 17 aprile 2007

così è se vi pare

Timo fiorito

della serie: Bolliti & Minestre, tremate, tremate, le spezie son tornate!

Se avete tempo e voglia andate a vedere il film “Le vite degli altri” ma non chiedetemi il regista o gli attori perché non li ricordo. Posso solo dirvi che è un gran bel film che racconta l’oppressione spionistica della Stasi (la polizia segreta della ex Germania dell’est, quasi una Telecom nostrana) nella metà degli anni ’80, poco prima della caduta del muro di Berlino. Cioè abbastanza vicino a noi ma forse già neolitico per i più giovani.

La storia si basa semplicemente su un intreccio di sentimenti, passioni (alcune malsane) e identità. Il film risulta sorprendentemente intenso, gli attori sono bravissimi e indovinati nei ruoli, regia e sceneggiatura particolarmente efficaci nel ricostruire le atmosfere, non per niente ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero.

Non è una spy-story, forse è un film d’amore ma non nel senso solito e melenso, bensì sull’amore per se stessi, sulla propria identità rivelata e (spesso) assorbita dal lavoro e/o dal condizionamento sociale. Ma mentre siamo condizionati, dentro, profondamente dentro, siamo sempre noi stessi, persone in fondo un po’ sole, che a volte riescono ad affermare la propria dignità.

Sono convinto che chi, come voi e me, vive una vita normale di affetti (alti e bassi, eh?), di lavoro, di gioco (sul blog), mostra di se tante facce, tanti aspetti insieme veri e falsi.

Ma dentro, profondamente dentro, siamo sempre e solo noi stessi.

Insomma a volte la vita si basa sulla finzione e forse gli pseudonimi (nick name) li dovremmo usare quando ci alziamo e spegniamo il pc.

Napoli, si sa o si dice, è una delle capitali del “falso”.

Girando per strade e vichi troverete decine di bancarelle (anzi nemmeno quelle ma semplicemente pezze stese sui marciapiedi) che vendono di tutto di più, ovviamente falso, borse, cd, dvd, occhiali da sole di grandi marche. Gente esperta afferma che le merci sono prodotte dalla camorra e ciò è verosimile, quindi bisogna resistere alla tentazione di comprare oggetti (falsamente) firmati per pochi euro. Anche se, molto spesso, queste merci sono vendute da simpaticissimi ragazzi per lo più di colore che vivono di questi commerci e che altrimenti si troverebbero senza alcun mezzo di sopravvivenza in un mondo (il nostro) sorprendentemente ostile. Gente ai margini della società che vive in veri ghetti e che verrebbe la voglia di portarsi in casa per sfamarli un po’ e ridere insieme.

Ma Napoli è piena anche di finti agenti segreti, falsi politici, imbroglioncelli vari e, naturalmente di finti cuochi (e mi riferisco a me!).

Questo contesto secolare di immagine sparluccicante (per dirla con Montalbano) che non corrisponde alla sostanza non poteva non influenzare la nostra cucina che è piena di “falsi d’autore”!

Se ricordate, uno dei piatti (per me) migliori della cucina napoletana, spaghetti alla puttanesca, nasce come spaghetti alla vongola fuiuta… cioè senza l’ombra delle vongole. E così c’è la falsa genovese (un capolavoro di bluff fatto con solo cipolle e strutto), l’agnello scappato (patate, piselli e uova), la finta pizza, il finto pesto (con la rughetta –verdura spontanea nelle nostre terre- invece del basilico). Non possono mancare, ovviamente, le finte frittate, c’est a dir, le frittate senza uova: il capolavoro maximo detto la frittata di Scammeri (di prossima produzione) ed il qui presente

Tortino di carciofi, patate e scamorza

Ingredienti per 5 persone (normali o 4 affamate):
patate nuove 600 gr. circa
carciofi 4
scamorza o provoloncino affumicato 150 gr.
parmigiano grattugiato qb.
olio evo
prezzemolo (se gradito)
sale
uova NO!
Pancetta stesa tagliata sottilissima (magari!)
Padella bivalve

Preparazione:
premetto che questo piatto sembra semplice ma, tecnicamente parlando è il più difficile di quelli finora postati.

Non tanto perché bisogna tagliare tutti gli ingredienti sottilissimi (e questo è solo noioso) ma perché senza la padella-cozza è difficile girare la finta frittata. Naturalmente voi che siete bravi ci potete riuscire facilmente. Un’altra difficoltà è dettata dalla necessità di utilizzare un accrocco (marchingegno) che rende possibile la cottura con un velo d’olio (di necessità si fa virtù) e comunque di essere partecipi e presenti alla cottura facendo ruotare la frittata ogni 5-6 minuti sull’accrocco per farla dorare senza bruciare!
Insomma più che difficile, oserei dire: noiosa ma veramente buona!

Un goccio di vino come aperitivo e procediamo.
Tagliate patate, carciofi e il provoloncino in fette sottilissime (le patate quasi trasparenti). Ponete le patate tagliate in acqua e sale e i carciofi in acqua e limone.

Quando avrete tutto pronto ungete le due teglie antiaderenti con carta da cucina bagnata d’olio e cominciate a riempire la più piccola (quella che per prima deve andare sul fuoco, perché altrimenti quando girate il tortino sono …fatti vostri) con uno strato di patate che cospargerete di parmigiano grattugiato e un po’ di sale, fate poi uno strato di carciofi, un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio (ne basta poco) e quindi le fette di scamorza, un po’ di prezzemolo e, se avete deciso di suicidarvi con la pancetta, questo è il momento di farlo gridando con me: “Ciccina, corri che Ciccillo sta inseguendo il geco fuori al terrazzo” e mentre la mallupina corre gridando fuori, aprite il cassetto delle posate, scartocciate la carta oleata e stendete svelti le fettine ricoprendole velocemente con uno nuovo strato di carciofi, sale, parmigiano e, infine, patate. Fate presto ché Ciccina sarà svelta a rendersi conto che il gatto ronfa in poltrona.
Pressate il tutto, chiudete la bivalve e ponetela a fuoco dolce con un lato poggiato su un coperchio (o qualunque cosa non infiammabile) in modo che quel poco olio che c’è vada dove è necessario che stia (cioè sul lato a fuoco). Insomma un falso wok.
Armatevi di santa pazienza (o chiamate uno schiavo se l’avete) e ogni 5-6 minuti fate ruotare il lato della padella (pericolosamente inclinata) che sta a fuoco. In 30 minuti dovreste completare il giro, quindi rivoltate le padelle amanti e ricominciate tenendo presente che il secondo lato dovrebbe cuocere prima (circa 20’).
Aspettate qualche minuto che si raffreddi e rivoltate sul piatto di portata.

Qui a casa piace molto.

Inutile dire che se avete messo la pancetta il dopopranzo sarà un po’ difficile…la pancetta non finge, se c’è si sente e Ciccina se ne accorge.

PS: se vi avanzano patate e (magari) carciofi (a me solo patate purtroppo) scolatele appena e buttatele in una padella antiaderente con un cucchiaio d’olio bollente, coprite e cuocete a vista a fuoco vivo girando ogni tanto con una spatola di legno, un pizzico di sale e gnam… mangerete anche le “finte patate fritte”!


C’est ainsi, s’il vous plait.