martedì 24 aprile 2007

Cosa farò da grande ovvero meglio perdersi che … trovarsi



Sono ancora indeciso su cosa fare da grande. Voi ci avete già pensato?
Niente, mi vengono sempre le solite cose tipo pompiere, pilota di formula 1, cantante rock, cuoco (di successo), George Clooney, commissario Maigret, Nero Wolf.
Niente di originale, peccato. Eppure qualcosa di buono ogni tanto la combino, anzi, la combiniamo perché in questo Ciccina non è seconda a nessuno: noi sappiamo fare i blitz.
Abbiamo fatto blitz notevoli tipo toccata a Roma per provare lo sformato di cipolle del Dito e la Luna e ritorno o a Parigi per comprare les Moutardes de Maille, place de la Madeleine (potenza di lastminute).


Quest’inverno, nel più classico dei nostri blitz, siamo andati a Scansano (GR) per spratichirci un po’ con il famoso Morellino (che non è un cavallo come voi ben sapete), compiuto l’apprendistato presso “La Cantina” (Via della Botte) accompagnato da una cena che definire pantagruelica vuol dire minimizzare, e dormitoci su alquanto persuasi delle sue preclare virtù, la mattina dopo abbiamo deciso di perderci nelle campagne per ritardare, per quanto possibile, il rientro a casa ed evitare, sempre per quanto possibile, la concomitanza con i gitanti domenicali.
Non so se vi siete mai persi volontariamente nelle fratte (?) in territorio sconosciuto.
Per tranquillizzarvi vi assicuro che è più facile di quel che si creda.
Nella nostra mappa mentale avevamo un'unica certezza: il lago di Bolsena era a sud-est ed Orvieto (Autostrada A1) decisamente ad est.
Veramente avevamo anche una determinazione ferrea: scegliere le stradine di campagna.
Il portabagagli pieno di ottimo vino ci garantiva la sopravvivenza.
Sia come non sia dopo circa 5 ore e solo 80 km percorsi, in strade rurali tra campi, selve e boschi, ci siamo ritrovati con un certo languorino che ci faceva spalancare gli occhi alla ricerca dell’impossibile: Qualcosa (o qualcuno) da mangiare! Gli animi cominciano a farsi tesi, compaiono frasi del tipo, l’avevo detto io… l’armonia della sera precedente era solo un pallido ricordo dei bei tempi che furono. Cosa può la fame.
Erano le due del pomeriggio, nelle frazioni attraversate gli alimentari erano sbarrati e di ristoranti neanche l’ombra. Veniamo meno al giuramento di non guardare la carta stradale e scopriamo che, 10 km più o meno, siamo dove Lazio, Toscana e Umbria si baciano indisturbate. È probabilmente una delle zone più belle d’Italia, se amate il bucolico/agreste, ma al momento ciò non ci consola.
Stavamo discutendo se Ciccillo avrebbe preferito stare con Ciccina o me quand’ecco, ad un tratto (si, proprio come nelle favole) compare un cartello che ci informa che il Poderetto è aperto! Il Poderetto? I nostri occhi si interrogano commossi e lacrimosi, ammiccano e via, con un sorrisino stupido metto la freccia a sinistra (inutile, eravamo soli nel deserto) e vai!



Ci accoglie una casupola in pietra con il classico filo di fumo che sale dal tetto ed uno spelacchiato albero di Natale.



Ci asciughiamo il moccio al naso ed entriamo timidi, quattro tavoli apparecchiati, un camino acceso e Totò (un bassotto tedesco, ma che si chiamava così l’avremmo saputo dopo) praticamente sdraiato dentro al camino.


Lui solleva una palpebra, fa WHUFF (l’avevo detto che è tedesco?) più o meno come se avessimo suonato il campanello all’ingresso, richiude l’occhio e riprende a dormire. Dalla cucina esce Mariagina (splendida figura di donna umbra, ma che si chiamava così l’avremmo saputo dopo) che si asciuga le mani e ci guarda interrogativa come dire: e voi che ci fate qui?


Noi: è tardi per mangiare?
Lei: e allora io che ci sto a fare?
La logica stringente della campagna.
Ci sediamo e, miti e arrendevoli come solo l’inedia che ha superato già da un pezzo la rabbia può rendere, ci affidiamo alle sue cure.
E non ce ne siamo pentiti.
Bartolomeo (il so omo, per dirla in umbro- tosco - laziale) ci accudisce e, tra un affettato misto, tagliatelle ai funghi (giura che sono di bosco), carni sapide alla brace e bolliti, ci racconta un terzo (circa) della loro vita.
Apprendiamo di migrazioni in quel di Torino, di lavori tentati e infine di questa avventura dovuta alla Mariagina perché l’è brava in cocina.
Noi parliamo poco (voi capirete perché).
Mentre sonnecchiamo (io) e giochiamo con Totò (Ciccina), in attesa di caffè e ammazzacaffè, si apre la porta ed entra rumoroso e vociante un arzillo vecchietto che, poverino, alla vista di sconosciuti azzittisce. Mariagina esce dalla cucina e lo rimbrotta come un bambino.
Bartolomeo entra con un quarto di vino (rosso) e lo serve. Non c’è bisogno di ordinare.
In poco meno di mezzora ne arrivano altri quattro (altri tre quartini e una birra), compaiono le carte napoletane. Cominciano a giocare e cominciano, in nostro onore, i racconti della campagna, che se Pasolini (buonanima) fosse ancora vivo, ci farebbe senz’altro qualcosa di grande. Sarebbe bastato trascriverli come venivano fuori.
Si parla di colture e concimi, di serpi e cinghiali, di fonti prosciugate e pozzi secchi, di espropri e strade inutili, di sovvenzioni pubbliche assegnate senza senno. Si ride ancora (loro), a distanza di dieci anni, di quel tizio che voleva coltivare il kiwi (?).
Noi continuiamo a parlare poco (voi continuerete a capire perché) ma ascoltiamo molto.
Bartolomeo e Mariagina si portano due scodelle di zuppa (mmmh, curiosità! non oso chiedere) e siedono accanto a noi.
In un baleno si fa sera (dopotutto è inverno, no?) e a malincuore ci alziamo (paghiamo cosi poco che converrebbe venire a mangiare qui ogni giorno piuttosto che fare la spesa) e salutiamo gli amici (perché si, ora sono nostri amici).
Fuori è calata la nebbia, l’aria è serena, fredda, sa di fumo, ci promette di restare così bella per qualche anno ancora.
Le crediamo, oggi crediamo a tutto.



Ebbene quel posto non è un sogno.
Ieri (domenica) tornando da un tour (quasi tutto lavorativo) in Romagna e Toscana (a proposito se vi capita, fate la statale SS 67 tosco-romagnola casentinese, è bellissima) ci siamo ritrovati in prossimità di Orvieto ad ora di pranzo (non è un caso, avevo calcolato tutto al millesimo).
La nostra intesa è perfetta, basta uno sguardo (ah, l’amore!), esco e prendo la direzione Viterbo Montefiascone (SS 71) e ci … perdiamo. Di nuovo.
Questa volta non lo facciamo apposta.
Giriamo per strade e stradine, niente. Consultiamo la carta stradale, niente. Semplicemente avevamo dimenticato il nome dell’osteria e di chiedere in quale paese fosse! Poi Ciccina (la mitica) ha il più classico dei lampi di genio, apre il portatile e guarda le foto del week end invernale e… paff! ecco la foto del Poderetto. Alla prima frazione chiediamo ad un autoctono deambulante (lo conosce!!!!! Buon segno, no?) ed in cinque minuti, con la lingua da fuori, siamo a casa (loro).

Il set è cambiato (fa caldo ora): esterno giorno, aiuole, tettoia malmessa e panche, Mariagina, Bartolomeo e uno dei vecchietti giocano a carte, Totò ha una piccola compagna Kya (ma che si chiama così l’abbiamo saputo dopo), un tavolo apparecchiato (giuro che aspettava noi) e almeno 4 panche ancora imballate, presagio di futuri clienti.
Lo svolgimento è simile, con piccole variazioni nelle scelte (crostini e bruschette, tagliatelle con fagiolini e pomodorini, trippa con la mentuccia, pollo alla cacciatora, torta di pere e cioccolato per un totale di 40 euro).
E anche ieri, mentre aspettiamo caffè e ammazzacaffè, cominciano ad arrivare gli altri vecchietti, cominciano le chiacchiere, giocano a carte.

Se vi piace la campagna, se non dovete mangiare sempre cibi firmati, se vi piace fare due chiacchiere o (meglio) se vi piace ascoltare le storie degli altri, appena potete, fateci un salto.
Io, nel frattempo, schiaccio un pisolino fino al prossimo Autogrill, guida Ciccina Alcohol_free mentre io sogno cosa farò da grande.

Osteria con cucina “Il Poderetto”, loc. Poderetto, Castel Giorgio (TR).
Uscita A1 Orvieto, prendere la SS 71, direzione Montefiascone Viterbo.
Dopo circa 12 km girare a dx per la SS 74, direzione San Lorenzo nuovo.
Dopo circa 6,5 km entrare in Castel Giorgio e chiedere per via del Poderetto e dopo meno di 3 km troverete a destra la trattoria. Se vi perdete chiamate Bartolomeo al 3291373427.
Pare che se avete il Nav satellitare sia più facile. Dubito.









mercoledì 18 aprile 2007

Orsù, andiamo, è tempo di migrare


OrchIkea sopravvivente


Care e cari amici,

vado in pausa, senza meno, per lavoro e svago.

La mia saltuaria attività di Blogeur ne risentirà alquanto.

Il Vs. appetito (sono sicuro di) no!

Cercate di resistere almeno per un paio di settimane e non dimagrite senza la mia sana e "magra" cucina.

Bye bye

Eric the flat.



martedì 17 aprile 2007

così è se vi pare

Timo fiorito

della serie: Bolliti & Minestre, tremate, tremate, le spezie son tornate!

Se avete tempo e voglia andate a vedere il film “Le vite degli altri” ma non chiedetemi il regista o gli attori perché non li ricordo. Posso solo dirvi che è un gran bel film che racconta l’oppressione spionistica della Stasi (la polizia segreta della ex Germania dell’est, quasi una Telecom nostrana) nella metà degli anni ’80, poco prima della caduta del muro di Berlino. Cioè abbastanza vicino a noi ma forse già neolitico per i più giovani.

La storia si basa semplicemente su un intreccio di sentimenti, passioni (alcune malsane) e identità. Il film risulta sorprendentemente intenso, gli attori sono bravissimi e indovinati nei ruoli, regia e sceneggiatura particolarmente efficaci nel ricostruire le atmosfere, non per niente ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero.

Non è una spy-story, forse è un film d’amore ma non nel senso solito e melenso, bensì sull’amore per se stessi, sulla propria identità rivelata e (spesso) assorbita dal lavoro e/o dal condizionamento sociale. Ma mentre siamo condizionati, dentro, profondamente dentro, siamo sempre noi stessi, persone in fondo un po’ sole, che a volte riescono ad affermare la propria dignità.

Sono convinto che chi, come voi e me, vive una vita normale di affetti (alti e bassi, eh?), di lavoro, di gioco (sul blog), mostra di se tante facce, tanti aspetti insieme veri e falsi.

Ma dentro, profondamente dentro, siamo sempre e solo noi stessi.

Insomma a volte la vita si basa sulla finzione e forse gli pseudonimi (nick name) li dovremmo usare quando ci alziamo e spegniamo il pc.

Napoli, si sa o si dice, è una delle capitali del “falso”.

Girando per strade e vichi troverete decine di bancarelle (anzi nemmeno quelle ma semplicemente pezze stese sui marciapiedi) che vendono di tutto di più, ovviamente falso, borse, cd, dvd, occhiali da sole di grandi marche. Gente esperta afferma che le merci sono prodotte dalla camorra e ciò è verosimile, quindi bisogna resistere alla tentazione di comprare oggetti (falsamente) firmati per pochi euro. Anche se, molto spesso, queste merci sono vendute da simpaticissimi ragazzi per lo più di colore che vivono di questi commerci e che altrimenti si troverebbero senza alcun mezzo di sopravvivenza in un mondo (il nostro) sorprendentemente ostile. Gente ai margini della società che vive in veri ghetti e che verrebbe la voglia di portarsi in casa per sfamarli un po’ e ridere insieme.

Ma Napoli è piena anche di finti agenti segreti, falsi politici, imbroglioncelli vari e, naturalmente di finti cuochi (e mi riferisco a me!).

Questo contesto secolare di immagine sparluccicante (per dirla con Montalbano) che non corrisponde alla sostanza non poteva non influenzare la nostra cucina che è piena di “falsi d’autore”!

Se ricordate, uno dei piatti (per me) migliori della cucina napoletana, spaghetti alla puttanesca, nasce come spaghetti alla vongola fuiuta… cioè senza l’ombra delle vongole. E così c’è la falsa genovese (un capolavoro di bluff fatto con solo cipolle e strutto), l’agnello scappato (patate, piselli e uova), la finta pizza, il finto pesto (con la rughetta –verdura spontanea nelle nostre terre- invece del basilico). Non possono mancare, ovviamente, le finte frittate, c’est a dir, le frittate senza uova: il capolavoro maximo detto la frittata di Scammeri (di prossima produzione) ed il qui presente

Tortino di carciofi, patate e scamorza

Ingredienti per 5 persone (normali o 4 affamate):
patate nuove 600 gr. circa
carciofi 4
scamorza o provoloncino affumicato 150 gr.
parmigiano grattugiato qb.
olio evo
prezzemolo (se gradito)
sale
uova NO!
Pancetta stesa tagliata sottilissima (magari!)
Padella bivalve

Preparazione:
premetto che questo piatto sembra semplice ma, tecnicamente parlando è il più difficile di quelli finora postati.

Non tanto perché bisogna tagliare tutti gli ingredienti sottilissimi (e questo è solo noioso) ma perché senza la padella-cozza è difficile girare la finta frittata. Naturalmente voi che siete bravi ci potete riuscire facilmente. Un’altra difficoltà è dettata dalla necessità di utilizzare un accrocco (marchingegno) che rende possibile la cottura con un velo d’olio (di necessità si fa virtù) e comunque di essere partecipi e presenti alla cottura facendo ruotare la frittata ogni 5-6 minuti sull’accrocco per farla dorare senza bruciare!
Insomma più che difficile, oserei dire: noiosa ma veramente buona!

Un goccio di vino come aperitivo e procediamo.
Tagliate patate, carciofi e il provoloncino in fette sottilissime (le patate quasi trasparenti). Ponete le patate tagliate in acqua e sale e i carciofi in acqua e limone.

Quando avrete tutto pronto ungete le due teglie antiaderenti con carta da cucina bagnata d’olio e cominciate a riempire la più piccola (quella che per prima deve andare sul fuoco, perché altrimenti quando girate il tortino sono …fatti vostri) con uno strato di patate che cospargerete di parmigiano grattugiato e un po’ di sale, fate poi uno strato di carciofi, un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio (ne basta poco) e quindi le fette di scamorza, un po’ di prezzemolo e, se avete deciso di suicidarvi con la pancetta, questo è il momento di farlo gridando con me: “Ciccina, corri che Ciccillo sta inseguendo il geco fuori al terrazzo” e mentre la mallupina corre gridando fuori, aprite il cassetto delle posate, scartocciate la carta oleata e stendete svelti le fettine ricoprendole velocemente con uno nuovo strato di carciofi, sale, parmigiano e, infine, patate. Fate presto ché Ciccina sarà svelta a rendersi conto che il gatto ronfa in poltrona.
Pressate il tutto, chiudete la bivalve e ponetela a fuoco dolce con un lato poggiato su un coperchio (o qualunque cosa non infiammabile) in modo che quel poco olio che c’è vada dove è necessario che stia (cioè sul lato a fuoco). Insomma un falso wok.
Armatevi di santa pazienza (o chiamate uno schiavo se l’avete) e ogni 5-6 minuti fate ruotare il lato della padella (pericolosamente inclinata) che sta a fuoco. In 30 minuti dovreste completare il giro, quindi rivoltate le padelle amanti e ricominciate tenendo presente che il secondo lato dovrebbe cuocere prima (circa 20’).
Aspettate qualche minuto che si raffreddi e rivoltate sul piatto di portata.

Qui a casa piace molto.

Inutile dire che se avete messo la pancetta il dopopranzo sarà un po’ difficile…la pancetta non finge, se c’è si sente e Ciccina se ne accorge.

PS: se vi avanzano patate e (magari) carciofi (a me solo patate purtroppo) scolatele appena e buttatele in una padella antiaderente con un cucchiaio d’olio bollente, coprite e cuocete a vista a fuoco vivo girando ogni tanto con una spatola di legno, un pizzico di sale e gnam… mangerete anche le “finte patate fritte”!


C’est ainsi, s’il vous plait.

lunedì 16 aprile 2007

Storie di ordinaria follia

L'angelo della casa

Stasera Ciccina va alla festa di compleanno della sua cara amica S., giovane medico emigrato nella pallida Albione per poter mettere in pratica quello che le nostre università (volutamente con la “u” minuscola) le hanno insegnato. Brain migration, of course!

Questa tapina ha avuto la malaugurata idea di festeggiare i suoi verdi anni a casa, pensa un po’ tu? Vivi a L. e te ne vieni a N. per farti fare la … festa?

Sento già in testa le parole di “Funtanella ‘e Capemonte” scoppiettarmi in testa, ma che ci vuoi fare: dove c’è gusto non c’è perdenza.

Comunque io, che sono notoriamente un orsacchiotto, riesco a scappottarmi la festa per la scarsa intimità con il nucleo base di giovani amici dottori. Sono stati invitati solo gli intimi ed io non lo fui.

In attesa che finisca di truccarsi ed esca, gironzolo per casa in ciabatte e faccio un po’ l’offeso (se sei martello batti, quando sei incudine statti).

Della serie: ‘che hai?’ ‘niente’,
‘hai fatto la spesa?’ ‘no, ho fatto tardi al lavoro, era tutto chiuso’,
‘che mangi?’ ‘c’è una busta di insalata in frigo’,
‘perché non vai a cena fuori con l’Ispettore?’ (l’Ispettore è il mio amichetto) ‘ha un impegno’.
Frasi brevi, non troppo laconiche (per non dire che sono scortese), incisive al massimo nel delineare una situazione disperata e colpevolizzante.
I punti accumulati torneranno utili in altre occasioni.
Apro una scatoletta per Ciccillo e gli cambio la lettiera.

Il porco ingrato mangia sereno.

Uscendo tutta improfumata fa il gesto di prendere la munnezza ma glielo impedisco per non farle sporcare le mani, non ti preoccupare scendo io dopo, non fare tardi. Altro punto. Bacino? Bacino.
Attenti a non sbagliare ora!
Prendo un goccio di vino, il “Venerdì” di Repubblica, il telecomando e siedo in poltrona.
Attendo.
Eccola che risale a prendere il portafogli.
Mi vede, ciao! Ciao.
Chiude la porta … E VAI!

Su RAI 3 c’è un film di e con STEVEN SEAGAL. Come, non sapete chi è Steven Seagal?
È il leader maximo dell’Aikido, faccia monoespressione, tutto botte ai cattivi, ecco chi è Steven Seagal.

È buddista, vegetariano, ora un po’ obeso, imperscrutabile nel volto (sospetto che non riesca proprio a fare altre espressioni), si produce i film da solo (si sospetta che non trovi altri produttori) e li interpreta sempre da solo (sospettiamo che non trovi altri interpreti). Gli altri prendono solo botte, protegge sempre un familiare dai cattivi, ruba sempre un cuore, insomma è il Guinness della rassicurazione che tutto, alla fine, ma proprio tutto, finisce sempre, invariabilmente, assolutamente, ineluttabilmente bene.

E non è poco.

In più, nel film di stasera, è un CUOCO ex agente della CIA.
Si avete capito bene: è un cuoco. Un pò come noi (eh eh eh).
Bene, accendiamo la tv per farla riscaldare, alziamo il volume e andiamo in cucina.

Ingredienti per un uomo libero:
una bistecca di manzo da 400 gr.
un caciocavallo fresco di Vico Equense, mezzo kilo
una busta di insalata di dubbia freschezza (tecnicamente di IV gamma)
un trancio di schiacciata all’origano e rosmarino smozzicata per la fame
olio evo
sale & pepe nero McCormick
se gradita Moutarde all’Ancienne Maille (gradita, gradita)
vino Solopaca rosso (quello sfuso del vinaio)
Single Malt Scotch wiskey Old Pultenay (la distilleria più a nord della Scozia! Sarà un merito, no?)

Preparazione:
apparecchiate, per una persona, sul tavolino davanti alla tv.
Mettete una bistecchiera di ghisa sul fuoco grande al massimo (certo una brace sarebbe meglio ma non esageriamo perché comincia il film).
Condite l’insalata preparando il dressing in una tazza con olio a volontà! (un olio forte, saporito, magari toscano, va’), sale, pepe (a me piace anche nell’insalata), un cucchiaio di senape e un cucchiaino di aceto balsamico, se utile aggiungete anche un cucchiaio di maionese del frigo scartando la pellicola gialla.

Portate tutto, tranne la carne, sul tavolino, date un altro morso alla schiacciata e buttate la bistecca sulla padella dopo aver aperto le finestre di tutta la casa, dopo 3 minuti girate, attendete altri 3 minuti, mettete nel piatto, salate, pepate abbondantemente e correte che sta cominciando.

E così, felice con la bocca piena, mi precipito nell’abiezione!

Naturalmente con l’abiezione intendevo le proteine animali, e cosa se no?

Il film scorre inesorabile, pieno di emozioni e botte. In pratica l’amico Steve si trova su un treno a dover affrontare da solo, insomma solo con l’aiuto di un ragazzo nero un po’ rinco, una trentina di cattivi (e quando dico cattivi, intendo proprio cattivi) ex agenti di vari servizi segreti (come a dire gente tosta) che vogliono far scoppiare il mondo o almeno parte di esso (ora non ricordo i particolari ma più o meno è così), salva la nipote, una hostess si innamora di lui e, alla fine, voi non ci crederete (lo so), ma salva anche il mondo.

È un film ricco di sentimento

Con attimi di tenero sesso

Alte tecnologie

Un po’ di alcol


ma anche momenti di apprendimento in arte culinaria


E la cucina del treno devastata in pochi secondi (che non ho fatto in tempo a fotografare).

Lo so, la foto è pessima ma che volete fare è un film d’azione!
Bene, vado a dormire sereno con il bel volto atteggiato ad un candido sorriso.

Cribbio, ho dimenticato di buttare la munnezza!

giovedì 12 aprile 2007

Quel che resta del giorno...


Tornavo cogitabondo a casa dal lavoro (si sa che le responsabilità incidono sull’umore) quando detto umore vira decisamente al nero per una telefonata di Ciccina (ma perché chiama sempre a quell’ora?) che mi ricorda di comprare la lettiera per Ciccillo, un petto di pollo (sempre per il desso) sapone lavatrice ecc. ecc. e, per giunta, mi avverte che tornerà alla 9 (leggi 21) ed ha molta fame.

Ma ditemi voi come posso fare io (da solo praticamente) a lavorare, fare la spesa, cucinare e, per giunta, tenere un blog?

Ma voi, voi dico, come fate? Chi vi aiuta?

Per puro dispetto decido di comprare esattamente (ed esclusivamente) le cose che mi ha chiesto.

E basta.

Cioè rinuncio alla promessa lonza di maiale caramellata al limone che dopo tanti giorni di ascesi (praticamente una Pasqua in bianco) pensavo ci fossimo meritati.

Diciamo che come dispetto somiglia un po’ a quello del marito che, per fare dispetto alla moglie, si castra. Ma che vuoi fare, quando il carattere è brutto…

Arrivo a casa, metto a fare il pollo per il parassita, apro un solopaca (rosso) e saltello un po’ tra i TG.

Poi comincio a pentirmi, vuoi perché tra poco torna (la Parassita) vuoi perché il vinello (a digiuno) sa fare il suo mestiere, sospiro rabbonito, mi alzo e mi metto a rovistare tra le provviste di sussistenza.

Zuppa di mele e fagioli

(dedicated to Cat and Morso)

Ingredienti per 4 persone:
mele annurche 2 (circa 300 gr)
fagioli cannellini secchi 300 gr
pancetta coppata paesana 50 gr
farina bianca, 2 cucchiai
cipolla 1
brodo vegetale 1 litro
aceto di mele 1 cucchiaio
miele 1 cucchiaino
olio evo 1 cucchiaio
sale & pepe bianco
rosmarino (una antecchia)

Preparazione:

Mettete a cuocere i fagioli per un’ora circa in acqua non salata, a fuoco lento.

Tagliare la pancetta a dadini e unirla in una padella con la cipolla e un cucchiaio di olio fino a dorare, aggiungere la farina e bagnare con un po’ di brodo, girare bene per fare sciogliere i grumi (praticamente una mini vellutata), aggiungere il resto del brodo e lasciarlo ridurre alla metà a fuoco dolce, dopo circa 15 – 20 minuti unire l’aceto di mele, un cucchiaino di miele e un pizzico di sale.

Quando i fagioli saranno cotti versarli nel brodo ristretto e continuare a fuoco dolcissimo.

Pulire le mele e tagliarle a dadi, unirle ai fagioli e farle insaporire per circa 10 minuti per farle ammorbidire, regolare il sale e servire ben caldo guarnendo con un’antecchia di rosmarino.

E gnam gnam… slurp!

Meglio tardi che mai.

PS: è agrodolce.

mercoledì 11 aprile 2007

Edizione straordinaria!

Giovani, sveglia!

Qui il fatto è serio.


Leggete l'appello e aderite contro la mediocrità e massificazione alimentare.

(mamma mia che parole grosse!! mi sono fatto prendere un po' la mano :-])

martedì 10 aprile 2007

Dulcis in fundo!

Camelia timida e un pò tardiva

Dolce o salato?
È la domanda di sempre. Io tendenzialmente sono per il salato ma, come si dice?, “Dulcis in fundo” …

E come dio volle, passò anche la santa Pasqua… indenne dal punto di vista calorico a causa di una oculata scelta di pesci, pollame e verdure, tanto che ieri sera, per prevenire una sommossa casalinga, ho dovuto scongelare d’urgenza 4 salsicce con la provola del buon Mariano (il mio macellaio) e cucinarle con un bicchiere d’acqua e mezzo di vino bianco per l’acuta fame di carni porche che attanagliava la mia ammutinata equipe domestica.

E cosi, mentre gozzovigliavamo e ciarlavamo allegramente in tavola (complice una TV sempre più mefitica e un Sangiovese toscano di recente acquisizione), si è fatto un momento di silenzio alla comparsa dell’On. Mastella and his wife intervistato dalle canagliesche e adorabili Iene nella sua principesca dimora di Ceppaloni.

Senza entrare (ovviamente) nel merito delle interessanti domande e legittime risposte (le opinioni sono opinioni, le sue come le mie anche se le sue contano di più…), quello che risultava assai spiacevole era che i tentativi della sig.ra Mastella di interloquire anch’essa con l’intervistatore (rubando forse un pochino di scena al più famoso marito), venivano ignorati dal prode marito che continuava a parlare senza interruzione, senza concederle alcuno spazio. Ecco, questo ci sembrava spiacevole e forse un tantino arrogante. I nostri commenti erano del tipo: “ma falla parlare quella poverina!”, “ma figurati se uno è cosi arrogante con la moglie, come sarà con gli altri?”

Dulcis in fundo, accompagnando l’intervistatore fuori della villa, si trovavano di fronte ad una piccola folla di postulanti e clientes con le braccia cariche di doni pasquali per l’onorevole e sapete cosa ha fatto il ns. ministro?

Ha preso i primi che gli sono capitati davanti (un gigantesco uovo e una bottiglia di champagne) e li ha regalati all’intervistatore!

Mettetevi, se è immaginabile, nei panni dei donatori, uno arriva per rendere omaggio (o ringraziare per un favore?!), ha speso qualcosa di suo e si vede togliere il dono e passarlo ad un altro. Taht’s incredible!

Non c’è niente da fare, come dice mia madre “per diventare Signori ci vogliono almeno tre generazioni”.

Auguri sinceri ai nipotini di Mastella.


Quando ero piccolo, poco prima di Pasqua, il colono (mezzadro) della mia famiglia veniva a fare gli auguri. E non veniva mai a mani vuote. Quando l’anno era andato bene portava capretto (una volta portato vivo e questa è un’altra storia da dedicare agli Scribacchini ;-]), capponi e primizie, altre volte, se le cose non erano andate bene, ci si contentava di mele annurche, pizze di scarole e di cipolle, uova fresche. Ed era sempre una festa.

Il profumo fresco delle mele riempiva la casa ma si poneva il problema di cosa farne di tanti chili di mele!? Fondamentalmente, oltre alle mele cotte in vari modi che dopo 2-3 volte non sopportavamo più, mia madre faceva la zuppa di mele e fagioli, la torta e il maiale arrosto con le mele (e con cosa?).

Delle mele annurche si è già detto bene altrove (qui, qui e qui) ricordo solo che, seppure bruttine, sono tra le più profumate e dolci, la polpa è succosa con grana compatta e per nulla farinosa. Insomma una delizia!

Torta di mele alla Federica

Se cercate “torta di mele” su Google escono 401.000 pagine in Italiano (0,09 secondi). Mi sono detto: che male c’è ad aggiungerne un’altra? Boh!?

In fondo la ricetta che vi propongo:
-
è buonissima
- è poco calorica [trovate un’altra torta con solo 150 gr. di zucchero (volendo solo 100), un uovo e burro solo per ungere?!?]
- è facilissima da fare
- è l’unica che so fare
- mi è stato chiesto un dolce da Pandora

mi sembrano ottime ragioni, provate a farla, è veramente buonissima.

PS: la ricetta non è quella di mia madre che, come me, non ha mai saputo fare i dolci ma della mia carissima amica Federica (ciao Fede, grazie!).

Ingredienti:
mele annurche (le più profumate), 1 kg
uovo fresco (dovete chiedere: uova da bere!), 1
farina tipo 00, 150 gr.
zucchero grezzo di canna, 150 gr. (volendo anche solo 100 senza la glassa)
uva passa e pinoli, a volontà
latte fresco 5-6 cucchiai
burro per ungere
un pizzico di sale
lievito per dolci
ruoto a cerniera da 23 cm.

Preparazione:

è una vita che sogno di dire: in una terrina stemperate 100 gr di zucchero con l’uovo, incorporate poco a poco la farina, aggiungendo un po’ di latte fino ad ottenere una pasta semiliquida (è il vero segreto di questa torta!!!) e, infine, aggiungete il lievito e un pizzico di sale.

Lavate le mele, sbucciatele e tagliatele a fettine sottili e poi incorporatele delicatamente alla pasta insieme all’uva passa ed ai pinoli.

N.B.: non spaventavi se vi sembra che la torta non c’è! C’è, ma non si vede!!!! :->

Ungete un ruoto a cerniera con il burro che cospargerete poi di farina, stendete il composto, cospargete con il resto dello zucchero (e in fondo potreste rinunciare anche a questi 50 gr. ma che peccato) e infornate per 40-45 minuti a 180° gradi.

Servite tiepida accompagnata (se necessario) con un cucchiaio di panna fresca.
A me la panna no grazie. :-]

PS: ma voi siete dolci o salati????

mercoledì 4 aprile 2007

era di lunedì

Era di lunedì.
Cosa potete aspettarvi da un lunedì? Siate sinceri! In genere, nulla di buono.

Eppure, eppure, un cielo dorato al mattino lasciava presagire qualcosa di buono nonostante fosse lunedì.

Inoltre Ciccina era tornata dalla Maremma maiala con olio, vino e miele e questo era pure meglio.

Finita una pomeridiana e logorroica riunione di 3 ore, poco conclusiva e foriera di successivi incontri, miagolavo un po’ in internet prima di prendere la strada di casa e pensavo a quanta gente piace parlare per sentirsi la voce, quando, ad un tratto, squilla il telefono.
Ma chi può mai essere a quest’ora in un ufficio deserto?
ERA CICCINA!
Allegra come un fringuello (chissà cosa avranno da stare allegri i fringuelli?) e fresca come una rosella nonostante le 7 (sette) ore di viaggio era uscita a fare la spesa e aveva scoperto in un super un angolo esotico (leggi scaffale delle delizie ): mi proponeva una cena giapponese, certa che io sapessi cucinare il salmone in crosta di sesamo!

MA CHE SONO, DON ALFONSO IO???????????????????

Comunque era fatta (la spesa).
Bisognava agire in fretta. Benedetto mister Google, in pochi secondi mi trova una ricetta della cara mon petit Choux de Bruxelles: pollo al sesamo (e benedetta anche Cavoletto di Bruxelles.it!!!!).
Pollo o salmone per me pari son! Nel senso che non sono carni rosse (requiescat in pace).
Di corsa a casa a preparare il set fotografico perché ormai non si mangia se non si scatta qualche foto (che incubo!).
Si riesumano tovagline americane improbabili e un po’ ammuffite, si accendono candele, si cerca come disperati il regalo di Natale di Paolo, un coreografico set di coltelli giap intonsi (quasi un regalo di nozze) e (lassù qualcuno ci ama!) troviamo anche due piccoli vassoi in vera plastica monouso (lavati e conservati perché non si sa mai e: visto che avevo ragione a volerli conservare?) dell’ultimo take a away al risto-giap.

Salmone in crosta di sesamo

For two ordinary people:
Salmone fresco 400 gr.

Semi di Sesamo 150 gr. (mezza bustina)
Albumi 2
Salsa di soia (giapponese, giusto?) 50 gr.
Succo di limone 50 gr.
Olio evo (perché l’olio di sesamo non c’è, altrimenti…)
Zucchero di canna 3 cucchiaini

Sullo sfondo palpita la bianca ricetta di Cavoletto.

Dopo aver indossato il kimono si entra regalmente in cucina, ci si inchina ai fornelli e:
bagnate il salmone a pezzi nell’albume sbattuto e sprimacciateli forte nei semi di sesamo, uno per volta, please (insomma, come fare una cotoletta in bianco, no?). In una padella antiaderente (ok, non ho il wok e allora? VOGLIAMO LITIGARE?) mettete a scaldare poco olio, aggiungete i pezzi di salmone e tenete la fiamma viva cuocendoli un paio di minuti per lato finché si dorano, poi abbassate la fiamma, coprite con sollecitudine e portate a cottura in altri 5-6 minuti rigirandoli con attenzione.
Nel frattempo preparare la salsa con la soia, il succo di limone, lo zucchero e ½ cucchiaino di olio.




Servite in tavola.



Il sale!?! Cavoletto, ti sei scordata il sale???? ;- ]

un sabato a perdere

Un sabato a perdere. Ciccina a gozzovigliare in quel della Maremma (maiala, la Maremma).
Ha promesso però di portare tanti vini e olio buono, mah, speriamo che sia vero. Ed io ad accudire Ciccillo (alias di Micillo, ma per la privacy…).

Eccolo impegnato a dare la caccia alle lucertole.

L’idea di andare a cinema nella bolgia del sabato sera mi fa accapponare la pelle e allora telefono al mio amichetto e lo invito a cena e, magari, a vedere Gaia uno dei pochi programmi TV guardabili (opinioni, solo opinioni). Ovviamente accetta, lui è ancora più allergico di me alla folla (follia?) del sabato (opinioni, ancora opinioni).

Scendo a fare la spesa e prendo spezzatino di tacchino per tutti, poi, colto dalla suggestione per i colori che fanno bene (anche se lo dicono le industrie di surgelati è vero, credeteci: ma se sono freschi è moooolto meglio!), compro delle rape rosse in plastica ed un bel vinello bianco che mi ricordi l’estate scorsa (indovinate dove siamo stati?).
Tornando a casa in metro ho il colpo di grazia: un giovane si alza per cedermi il posto!
Mai successo prima, dunque sembro tanto vecchio?

Spezzatino di tacchino e rape rosse

Per 2 persone (un po’ depresse):
Spezzatino di tacchino 400-500 gr.
1 cipolla bianca (circa 200 gr)
2 patate medie (circa 200 gr)
2 rape rosse (circa 200 gr)
1 carotina rinsecchita sperduta nel frigo (e buttata subito dopo la foto)
Margarina dietetica al 35% (va bene per soffriggere ma non per friggere) oppure burro (chi può)
Olio evo
Vino bianco mezzo bicchiere
Prezzemolo
Sale & pepe bianco
Per l’accompagnamento: Yogurt greco al 2%
Per la salsa:
Limone e vino rosso (in proporzione 1:1)
Sugo delle rape rosse
Farina, se volete addensare un po’
Margarina dietetica al 35% oppure burro (sempre per chi può)

E adesso, mentre il Vesuvio si arrossa, seguitemi in cucina:

sciogliete circa 50 gr. di burro e 1 cucchiaio d’olio in una padella e aggiungete il soffritto di cipolla e carota (se ne avete una) tagliate sottili, quando la cipolla dora alzate un po’ il fuoco e aggiungete lo spezzatino. Dopo circa 10 minuti aggiungete le patate a cubetti. Quando cominciano a prendere colore aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco caldo, sale e pepe, alzate il fuoco e fate evaporare poi coprite, abbassate la fiamma e lasciate cuocere altri 10 minuti prima di aggiungere le rape tagliate a tocchetti.









Dalle rape non si cava sangue ma un po’ di sugo si! :-]

Quindi, quando le tagliate a tocchetti, raccogliete il sugo e conservatelo per la salsina che farete sciogliendo un po’ di burro e vino (meglio rosso) e succo di limone in proporzione 1 a 1. Eventualmente aggiungete un cucchiaio raso di farina per addensare ma condisce meglio se liquida.

Appena lo spezzatino è pronto, cospargete di prezzemolo tritato grossolano e fate i piatti accompagnando con un paio di cucchiai di yogurt (meglio con la siringa da dolci) e irrorate di salsina.

E ora tutti a tavola!

PS: a Ciccillo lo spezzatino l’ho fatto bollito in un dito d’acqua, mmh, buono!?!
ariPS: i piselli medi vanno bene per l’agnello.